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Per comprendere l’essenza del successo di aziende come Starbucks e Netflix occorre approfondire la metodologia di ragionamento induttivo.
Esistono due macro categorie di ragionamento che seguono percorsi speculari: da un lato il ragionamento deduttivo e dall’altro quello induttivo. Il ragionamento deduttivo parte da alcune premesse ben definite e considerate valide in generale (“assiomi”) per arrivare attraverso un percorso logico a delle conclusioni specifiche. E’ una tipo di ragionamento “top-down” che si sviluppa da una teoria generale per spiegare il particolare. La forma più antica di ragionamento deduttivo è il sillogismo, elemento centrale della logica di Aristotele: tutti gli uomini sono mortali, Aristotele è un uomo, quindi anche Aristotele è mortale.
Il ragionamento deduttivo è utilizzato in matematica nella formulazione dei teoremi e permea tutta le teoria economica neoclassica insegnata nelle università. In economia i tipici assiomi di partenza ipotizzano che gli individui siano razionali, massimizzino la propria funzione di utilità, utilizzino in maniera efficiente tutte le informazioni: date queste premesse si arriva alla conclusione che i mercati sono sempre in equilibrio e efficienti.
Il ragionamento deduttivo è molto utile per dimostrare delle teorie matematiche o economiche ma trova scarsa applicazione nella realtà, soprattutto in presenza di sistemi complessi. In primo luogo le nostre capacità di ragionamento logico non riescono a gestire situazioni che superano un certo livello di complessità. Inoltre in sistemi che si fondano sull’interazione di numerosi individui, non possiamo aspettarci che tutti si comportino in maniera razionale e siamo quindi costretti a cercare di ipotizzare quali possano essere le regole di azione/reazione degli altri. In sostanza, nel mondo reale non abbiamo quasi mai il privilegio di partire da ipotesi di partenza che possiamo considerare sicuramente vere e ben definite e quindi non possiamo applicare il ragionamento deduttivo.
L’economista Brian Arthur nel suo paper Inductive Reasoning and Bounded Rationality, afferma che in situazioni complesse e non ben definite, gli individui tendono ad adottare un approccio induttivo. Il ragionamento induttivo è un processo di tipo “bottom-up” che parte dall’osservazione del particolare, dall’analisi dei fatti specifici per arrivare a definire delle ipotesi più generali sulle quasi basare l’interpretazione della realtà.
Secondo Arthur la psicologia moderna ha riscontrato come gli uomini siano solo moderatamente bravi ad applicare una logica deduttiva che utilizzano saltuariamente, mentre sono decisamente più portati a formulare delle ipotesi sulla base dell’osservazione dei dati, caratteristica che ha consentito la sopravvivenza e l’evoluzione della specie. In sostanza, di fronte a situazioni complesse, cerchiamo di individuare degli schemi o degli andamenti che ci sono utili per formulare delle ipotesi, dei modelli mentali che utilizziamo per interpretare e semplificare la realtà. Man mano che raccogliamo ulteriori informazioni e feedback dall’ambiente, andremo a rafforzare o indebolire le ipotesi che avevamo fatto in precedenza, eliminando quelle che non si sono dimostrate efficaci alla prova dei fatti e sostituendole con altre più adeguate. Questo processo di analisi di dati, ricerca di schemi, formulazione di ipotesi e modelli mentali, ulteriore analisi dei dati per confermare o smentire le ipotesi di partenza, è l’essenza del ragionamento induttivo.
Il ragionamento induttivo negli scacchi
Il ragionamento induttivo è tipico dei giocatori di scacchi. I giocatori analizzano la disposizione dei pezzi sulla tastiera per individuare i possibili schemi di gioco adottati dagli avversari (“questa disposizione è simile a quella dell’incontro Botvinnik-Vidmar del 1936”) e sulla base di queste ipotesi studiano il ventaglio delle possibili mosse future. Man mano che il gioco si sviluppa aggiornano le ipotesi di partenza eliminando quelle che non sono più plausibili e sostituendole con altre più aggiornate. La capacità di riconoscere velocemente schemi di gioco utilizzati in partite precedenti è uno degli elementi che discrimina i maestri dagli altri giocatori.
I due ingredienti del ragionamento induttivo
Il ragionamento induttivo si compone di due ingredienti fondamentali:
- l’analisi dei dati con l’obiettivo di individuare degli andamenti o schemi utili per formulare delle ipotesi su cui guidare le nostre azioni future. E’ ovvio quindi che la capacità di interpretare i dati sia essenziale: più modelli mentali abbiamo a nostra disposizione, più saremo in grado di capire cosa sta succedendo veramente. Utilizzando una metafora scacchistica, invece di vedere 26 pezzi disposti a caso su una scacchiera, potremmo essere in grado di riconoscere “un attacco stile Panov alla difesa Caro-Kahn”;
- la verifica continua delle ipotesi di partenza sulla base dell’apprendimento derivante da nuove informazioni. In sistemi complessi non abbiamo mai la certezza, che le ipotesi, per quanto ben costruite, siano corrette (al contrario di quanto accade nel ragionamento deduttivo); per questo occorre testarle continuamente ed eventualmente modificarle sulla base delle nuove evidenze.
Il mondo del business è un tipico esempio di sistema complesso dove non esistono certezze e quindi le aziende devono fare ricorso ad un approccio di tipo induttivo per definire le proprie strategie e successivamente modificarle sulla base dell’analisi continua dell’ambiente in cui si trovano ad operare.
Nello specifico ci sono due categorie di informazioni/eventi che occorre monitorare per testare continuamente la bontà di una strategia aziendale:
- le informazioni privilegiate, cioè quelle derivanti dall’interazione con i propri clienti o in alcuni casi con i propri fornitori;
- le variazioni nelle abitudini di consumo e i cambiamenti tecnologici.
Il caso Starbucks
Nel 1983, Howard Schultz era il responsabile marketing di una piccola catena di negozi che vendeva chicchi di caffè tostato nella città di Seattle. Durante un viaggio in Italia, rimase folgorato dall’esperienza del caffè nei bar del centro di Milano. Nello specifico notò che mentre negli Stati Uniti il consumo di caffè di qualità era limitato ad una piccola nicchia di mercato, in Italia rappresentava la regola. Inoltre fu colpito dal fatto che il caffé rappresentasse un momento di socialità ed interazione in un’atmosfera rilassante, così lontano dallo stile dei “diner” o fast food americani.
Schultz formulò allora un’ipotesi strategica: l’esperienza del caffé all’italiana poteva essere ricreata con successo negli Stati Uniti.
Quando tornò a Seattle, cercò di spiegare la sua idea ai proprietari della piccola catena di caffé per cui lavorava, ma la sua proposta venne accolta freddamente anche perché l’idea non sembrava poi così originale. Stanco di aspettare, Schultz decise di licenziarsi e aprì il suo caffé, denominato “Il Giornale”, che rappresentava una replica esatta dei caffè del centro di Milano.
Tuttavia se Schultz fosse rimasto alla sua idea iniziale, Il Giornale sarebbe rimasto un piccolo caffè di Seattle. Ma Schultz, come un buon scienziato che testa le sue ipotesi, iniziò ad analizzare il comportamento dei suoi clienti e a modificare la sua impostazione di partenza. Eliminò l’italiano dal menù e la musica da opera; i camerieri inizialmente in divisa, tornarono presto in abiti più americani. Nel tempo Schultz capì che gli americani volevano il caffè da asporto e quindi iniziò ad introdurre le tazze di carta; successivamente ampliò la tipologia di caffè offerti: in sostanza iniziò ad adattare il modello del bar italiano ai gusti americani con piccoli cambiamenti successivi. Nel 1987, con l’attività ormai avviata, Schultz comprò la piccola catena di negozi di caffé in cui aveva lavorato in precedenza: la catena si chiamava Starbucks, nome che decise di mantenere. La nuova società integrava la vendita di chicchi di caffè del vecchio Starbucks con la nuova attività di gestione di bar sviluppata da Schultz.
Il resto della storia la conosciamo: quello che conta è capire il processo induttivo utilizzato da Schultz. Partito dall’idea di aprire un piccolo bar caffè clone di quelli milanesi, ha modificato gradualmente e per iterazioni successive la sua impostazione di partenza per arrivare a costruire, tazza dopo tazza, il modello Starbucks.
Il caso di Netflix
Quando nel 1997 Reed Hastings, insieme a Marc Randolph, fondò Netflix, l’obiettivo era quella di replicare il modello Amazon, applicandolo ai film. L’avvento di internet aveva reso improvvisamente obsoleta la strategia di Blockbuster: con Netflix i clienti potevano scegliere i film rimanendo comodamente sul divano, senza dover uscire per prenderli e riconsegnarli, e senza il rischio di dover incorrere in una multa per ritardo nella restituzione. La storia che Hastings raccontava nei primi anni era che l’idea di Netflix gli venne dopo aver ricevuto una multa di 40 dollari da Blockbuster per essersi dimenticato di restituire il film Apollo 13. A differenza di Blockbuster, Netflix introdusse quasi subito l’abbonamento mensile ed eliminò le penalità di mancata riconsegna: i clienti ricevevano i DVD per posta (max 3 per volta) e quando li restituivano tramite buste preaffrancate, potevano richiederne di nuovi.
Il nuovo modello prese quasi subito piede: i sottoscrittori raggiunsero il milione già nel 2003 e nel 2005 erano 2,5 milioni. Tuttavia c’era qualcosa che non andava: il sistema di spedizione tramite le poste americane non era particolarmente efficiente e soprattutto comportava costi elevati per Netflix. Anche gli investitori non erano molto fiduciosi: dopo l’IPO a 15 dollari nel 2002, il prezzo in borsa tra il 2005 e il 2007 si aggirava in un range intorno ai 3 dollari: una contrazione di circa l’80% rispetto alla quotazione di partenza.
Hastings era consapevole dell’importanza di superare il modello basato sulle spedizioni postali. Già dal 2001/2002, Netflix iniziò un progetto di ricerca per esplorare la possibilità di consentire la visione dei film direttamente su internet. L’idea iniziale era incentrata attorno al concetto di download: verso il 2004/2005, l’aumento della velocità e la riduzione dei costi nella trasmissione dei dati aveva reso il download un’opzione percorribile. Il progetto finalizzato da Netflix, prevedeva di fornire tutti i clienti di un “box” da utilizzare per scaricare i film durante la notte e vederli il giorno dopo. Ma, alla fine del 2005, quando il progetto “Netflix box” era ormai finalizzato e pronto per essere lanciato sul mercato, i manager di Netflix notarono Youtube, che era partita pochi mesi prima. La crescita esponenziale di Youtube dimostrava che le persone erano disposte a rinunciare ad un po’ di qualità nella visione dei video (lo streaming aveva una minore qualità rispetto al download) a favore di una maggiore facilità di utilizzo. L’esempio di Youtube fu una rivelazione: Netflix bloccò subito il progetto basato sul download per sviluppare la tecnologia “streaming”. Fu così che dopo due anni, nel 2007, Netflix lanciò il suo servizio di streaming, che segnò l’inizio della svolta favorevole per l’azienda.
L’altro grande passo per Netflix fu il passaggio alla produzione di contenuti. In un’intervista del 2005, Hastings affermava “non ho nessuna intenzione di entrare nel mondo della produzione. Ci sono tanti filmmaker talentuosi e rischierei di inquinare il mestiere”. Anche in questo caso, Hastings cambiò idea. Grazie alla piattaforma internet, Netflix aveva accumulato negli anni un database con informazioni privilegiate sulle preferenze in fatto di film e serie tv di milioni di persone : questa mole di dati conferiva a Netflix un vantaggio competitivo enorme rispetto alle case di produzione tradizionali nel capire quali erano i contenuti che potevano avere successo. Il passaggio alla produzione fu quindi una naturale conseguenza: nel 2013 Netflix ha debuttato con la serie autoprodotta House of Cards e in pochi anni è diventata una delle più grandi società di produzione a livello globale e rivaleggia per dimensioni con Disney e Comcast.
“Sii brutalmente onesto nei confronti del breve periodo e fiducioso e ottimista nei confronti del lungo periodo.” (Reed Hastings)
“Non avere paura di cambiare il tuo modello.” (Reed Hastings)
Il processo induttivo come elemento critico per il successo aziendale
Gli esempi di Starbucks e Netflix ci illustrano l’efficacia del processo induttivo. Entrambe le aziende sono partite con un’idea originaria che hanno poi modificato nel tempo utilizzando il feedback dei propri clienti e osservando i cambiamenti dell’ambiente circostante per arrivare ad una configurazione molto differente da quella di partenza. Una configurazione che non era assolutamente prevedibile all’inizio ma che è stata plasmata attraverso un processo evolutivo in cui il fulcro è rappresentato da una continua analisi e messa in discussione delle ipotesi di lavoro adottate.
Non è un caso che in un’intervista rilasciata nel 2002 a Wired, quando Netflix era ancora nelle fasi iniziali di sviluppo, Hastings dichiarò “Starbucks è un grande esempio per me. Howard Schultz parla di costruire il brand una tazza alla volta. Mi piacerebbe essere come Howard Schultz. Quello che Starbucks è per il caffè, Netflix è per i film.”
Bibliografia:
Arthur, W. Brian. Inductive Reasoning and Bounded Rationality. The American Economic Review, May 1994.
Kyncl, Robert. The inside story of how Netflix transitioned to digital video after seeing the power of YouTube. Vox, September 2017.
O’Brien, Jeffrey M. The Netflix Effect. Wired, December 2002.
Rumelt, Richard. Good Strategy/Bad Strategy: The Difference and Why it Matters. Profile Books, 2013.
Sauer, Patrick J. How I Did It: Reed Hastings, the founder of Netflix on developing a passion brand, and sustaining it as passions change. Inc., December 2005.