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Il design thinking è un approccio all’innovazione utilizzato da un numero crescente di aziende per sviluppare nuovi prodotti e servizi.
Negli ultimi anni, aziende come Apple, Google, IBM e SAP hanno messo il design al centro del proprio processo di innovazione, integrandolo nello sviluppo dei propri prodotti e servizi. La metodologia che prende il nome di design thinking è stata codificata e resa popolare grazie al lavoro di IDEO, l’azienda leader a livello globale nel campo della consulenza sul design e sull’innovazione, creata dal designer David Kelley e oggi guidata dal CEO Tim Brown.
Il design thinking trae le sue origini dall’esperienza di artisti come William Morris, considerato il padre del design industriale, architetti come Frank LLoyd Wright e designer come Henry Dreyfuss e i coniugi Eames, che avevano l’obiettivo di rendere il mondo che ci circonda più accessibile, bello e funzionale, cercando di combinare ciò che è desiderabile da un punto di vista umano con quello che è fattibile da un punto di vista tecnologico ed economico. E’ proprio in questa capacità di integrare l’aspetto dell’emotività e della bellezza con quello funzionale e razionale, che risiede l’essenza del design, che viene non a caso definito da Tim Brown una sorta di “terza via”.
Il design thinking e l’innovazione che parte dai bisogni umani
Come descritto da Tim Brown nel suo libro Change by Design, ogni designer quando sviluppa una nuova idea deve tenere in considerazione tre vincoli principali: la fattibilità (feasibility), cioè quello che è tecnologicamente realizzabile in tempi brevi; la redditività (viability) cioè il fatto che possa diventare parte di un business model sostenibile; la desiderabilità (desirability) cioè che il prodotto o servizio abbia un valore per le persone per cui è pensato.
L’essenza del design thinking è quella di trovare, nel corso del progetto, un bilanciamento armonioso, una costante integrazione tra questi tre aspetti (vedi figura 1) partendo però sempre dall’osservazione dei bisogni e dei comportamenti degli individui: questo focus sull’uomo e i suoi desideri, definito da Tim Brown “human-centered” approach, è la caratteristica distintiva del processo di innovazione basato sul design thinking.
In molte aziende l’approccio standard all’innovazione è quello di partire dalla redditività, cioè di considerare cosa può essere sviluppato tenendo conto del business model esistente, dei vincoli di struttura e di budget. Questo fa sì che gran parte delle innovazioni siano di natura incrementale, prevedibile e non consentano di differenziarsi dai competitor.
Un secondo approccio, tipico delle aziende guidate da ingegneri, è quello di puntare alla prossima scoperta tecnologica: si individua un nuovo modo per fare qualcosa e solo successivamente si cerca di capire se e come l’idea possa generare valore economico e incontrare i bisogni dei clienti. Si pensi ad esempio agli occhiali intelligenti di Google, tecnologia innovativa ma che, dopo anni dal lancio, non ha ancora trovato un mercato di riferimento. Questo approccio è rischioso da un punto di vista finanziario perché molte tecnologie nuove non hanno un ritorno economico che possa giustificare l’investimento in tempo e risorse: solo aziende solide disposte a scommettere sul lungo periodo come Google o start-up con forte appetito per il rischio possono permetterselo.
L’approccio sviluppato da IDEO parte invece dalle esigenze delle persone e dall’osservazione del loro comportamento nella convinzione che sia il modo più efficace per individuare i bisogni latenti e per massimizzare le probabilità che la nuova idea abbia già un mercato pronto ad accoglierla.
Nel 2005 Bank of America si rivolse ad IDEO per sviluppare nuove idee di prodotto: si puntò su un servizio che aveva l’obiettivo di incentivare i clienti a risparmiare di più. Come di consueto, i consulenti di IDEO partirono dall’osservazione dei comportamenti degli americani e del loro rapporto giornaliero con il risparmio. Scoprirono che tutte le persone avrebbero voluto risparmiare di più ma solo pochi avevano una strategia dedicata; allo stesso tempo molti mettevano in atto comportamenti inconsci che suggerivano una prospettiva interessante: ad esempio pagavano le bollette arrotondando in eccesso per fare cifra tonda oppure la sera di ritorno a casa, svuotavano le monetine dei resti della giornata in un contenitore, per la gioia dei piccoli. Il team di IDEO pensò che si potesse partire da questi “bias comportamentali” per incentivare la propensione al risparmio.
Il risultato fu un nuovo servizio, lanciato da Bank of America nell’ottobre del 2005 con il nome di “Keep the Change”: ogni acquisto effettuato con la carta di debito veniva arrotondato automaticamente al dollaro più alto e la differenza rispetto al prezzo effettivo veniva trasferita in un conto di risparmio collegato. Il servizio fu un successo immediato: nei primi 12 mesi attirò circa 2,5 milioni di clienti. Se i consulenti di IDEO avessero suggerito di puntare su un programma di educazione finanziaria per sensibilizzare le persone sul valore del risparmio e cercare di convincerle a modificare i propri comportamenti, probabilmente non avrebbero ottenuto gli stessi risultati. “Keep the Change” ha avuto successo proprio perché ha assecondato i comportamenti esistenti.
Il design thinking e i prototipi
Frank Lloyd Wright ha affermato che i mattoncini Froebel che usava da bambino per fare le costruzioni, sono stati il detonatore della sua passione creativa. Lo stesso Albert Einstein considerava la versione in pietra il suo gioco preferito.
La costruzione di prototipi è la più efficace evidenza del processo di sperimentazione e rappresenta una parte chiave del processo di innovazione del design thinking. Secondo David Kelley, il fondatore di IDEO, costruire prototipi significa “pensare con le mani”, e rappresenta un metodo più efficace rispetto al pensiero astratto, basato su pianificazioni, nella generazione di nuove idee.
E’ importante fare riferimento a prototipi già nella fase iniziale del processo di sviluppo di un’idea: infatti più velocemente siamo in grado di rendere tangibili le nostre idee, più saremo in grado di valutarle accuratamente, confrontare soluzioni e specifiche differenti, e scegliere la strada migliore. Il prototipo quindi è il modo più veloce ed efficace per testare la bontà dell’idea di partenza, generarne di nuove ed iniziare un processo iterativo di miglioramento. Il prototipo inoltre è anche il mezzo più efficace per presentare e far conoscere il progetto all’interno dell’azienda, in modo tale da ottenere feedback, supporto e budget per lo sviluppo. Infine, soprattutto nella fase matura del progetto, può essere utilizzato per ricevere il feedback più importante: quello dei clienti, necessario per effettuare gli ultimi aggiustamenti prima di arrivare alla versione finale.
Non è un caso se il tempo che intercorre dall’idea al primo prototipo è secondo Tim Brown un buon indicatore della propensione all’innovazione di un’azienda. I primi prototipi devono essere rozzi, veloci e richiedere pochi investimenti. Spendere troppo tempo o risorse nel prototipo ha due svantaggi: un’idea mediocre potrebbe fare troppa strada nel processo di sviluppo e in molti casi arrivare fino alla fine senza essere testata nella fase iniziale; i creatori del prototipo, se si tratta di un prodotto quasi finito che ha richiesto sforzi e investimenti, sarebbero meno propensi a valorizzare il feedback. In sostanza i prototipi ci trattengono dal complicare troppo le cose nella fase iniziale e dal focalizzarci troppo a lungo su un’idea debole.
“Se un’immagine vale mille parole, un prototipo vale mille riunioni.” (Dennis Boyle)
Il 28 novembre del 1927, 10 milioni di persone in tutti gli Stati Uniti, si misero in fila davanti ai concessionari Ford per assistere alla presentazione del nuovo modello A, a vent’anni dal lancio del modello T, la prima utilitaria americana. E poco importa se in gran parte dei concessionari era presente solo un prototipo di cartone: furono comunque raccolti migliaia di ordinativi già il primo giorno.
E un prototipo è alla base anche del successo di Tesla: dopo solo 4 mesi dalla creazione dell’azienda, gli ingegneri avevano già assemblato un primo prototipo approssimativo della Roadster. Questo prototipo fu la base per i successivi miglioramenti tecnici ma soprattutto rappresentò la migliore vetrina per ricevere i finanziamenti dai fondi di private equity. Difficilmente Elon Musk avrebbe convinto qualcuno ad investire in Tesla se si fosse presentato con delle slide di Powerpoint.
Il prototipo non riguarda solo ed esclusivamente un prodotto fisico, ma può essere riferito anche ad un servizio o ad un’esperienza. In questi casi l’approccio utilizzato è quello sviluppato già da tempo nell’industria cinematografica: quando l’attività di filmmaking divenne più sofisticata e professionale, si iniziarono a costruire gli “storyboard”, ossia una rappresentazione grafica della sequenza delle scene in modo tale che il regista e la produzione potessero controllare che fosse tutto ok prima di iniziare a girare il film, per evitare di ritrovarsi in fase di montaggio e rendersi conto che mancava qualcosa nella storia.
Uno dei classici utilizzi della tecnica dello storyboard per costruire il prototipo di un servizio o di un’esperienza è il “customer journey”. Il customer journey visualizza le fasi che un cliente immaginario attraversa nella sua esperienza con il servizio, dall’inizio alla fine. Il valore di questi scenari immaginari è di ragionare sui punti di contatto tra il cliente e il servizio o il brand di riferimento: ognuno di questi punti di contatto rappresenta un’opportunità per fornire valore nei confronti dei clienti target. Inoltre il customer journey ha il vantaggio di mantenere il cliente al centro dello sviluppo dell’idea, evitando di perdersi troppo in dettagli tecnici o estetici.
Il design thinking e l’approccio interdisciplinare
In IDEO credono che un ingrediente fondamentale per l’innovazione sia assemblare team di persone con background, esperienze, specializzazioni differenti, disposte a contaminarsi reciprocamente. Nello specifico un’azienda innovativa dovrebbe puntare su persone che possiedono qualità su due dimensioni, il cosiddetto “profilo a T” (figura 2).
Ogni persona dovrebbe essere molto competente nella sua disciplina di riferimento, nella quale può offrire un contributo tangibile e costituire il riferimento per il team (dimensione verticale o profondità). Tuttavia un profilo verticale e specialistico non è sufficiente: le persone devono avere anche l’abilità, l’apertura mentale e la curiosità per collaborare con discipline e modi di ragionare differenti (dimensione orizzontale o ampiezza). In team costituiti da persone con “profilo a T” si riesce a sviluppare un vero e proprio approccio interdisciplinare: le persone non si arroccano sulle proprie posizioni ma si sviluppa una ownership collettiva delle idee, di cui ognuno si sente responsabile. Ognuno costruisce sulle idee degli altri, uno degli atteggiamenti chiave per generare innovazione.
Conclusione
Apple è l’esempio più eclatante di un’azienda che ha costruito la propria innovazione sul design thinking. Secondo Steve Jobs, “il design non è solo come appare. Il design è come funziona.”
Bibliografia:
Brown, Tim. Change by Design. Harper Business, 2019.
Hoffman, Bryce G. American Icon. Currency, 2012.
Vance, Ashlee. Elon Musk. Virgin, 2016.