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Colonel Blotto, sviluppato dal matematico francese Emile Borel, è un gioco di strategia con implicazioni interessanti per comprendere le dinamiche competitive tra favorito e outsider.
Il “Colonel Blotto”, sviluppato dal matematico francese Emile Borel nel 1921, è uno dei giochi di strategia più studiati ed è utilizzato per individuare tattiche vincenti in contesti competitivi diversi, nel business, negli sport e nella politica.
Il gioco prevede generalmente due giocatori a cui è assegnata una dotazione di soldati e un certo numero di campi di battaglia. Ogni giocatore deve decidere quanti soldati posizionare in ciascun campo senza poter osservare le scelte dell’altro: il giocatore che ha più soldati in un determinato campo vince quella battaglia, e chi vince più battaglie vince la partita. Nella figura sottostante, tratta da libro di Michael J. Mauboussin The Success Equation, viene descritta una versione del gioco con 3 campi di battaglia e una dotazione di 100 soldati per giocatore.
In questa versione semplificata il giocatore B vince la partita perché ha conquistato due campi di battaglia su tre.
Supponiamo ora di variare il gioco: modifichiamo le dotazioni di soldati per creare un favorito e un outsider. In un gioco con 3 campi di battaglia il giocatore con il 25% in più di soldati vincerà il 60% delle partite; il giocatore con il doppio dei soldati risulterà vincente nel 78% dei casi. Ovviamente partire da una situazione di vantaggio aumenta la probabilità di successo.
Adesso però modifichiamo l’altra variabile: incrementiamo i campi di battaglia, cioè complichiamo il gioco. In presenza di molti campi di battaglia lo sfavorito avrà più possibilità di successo: ad esempio in un gioco con 15 campi di battaglia l’outsider avrà il triplo di possibilità di vittoria rispetto ad un gioco con 9 campi. Questo perché il favorito sarà obbligato a sparpagliare le proprie risorse su più fronti incrementando le probabilità che l’outsider possa risultare vincente con un colpo di fortuna (se l’outsider ha concentrato le risorse dove invece il favorito ne ha messe meno).
La lezione di strategia del Colonel Blotto è la seguente: il favorito ha interesse a semplificare il gioco sfruttando la propria posizione di forza; l’outsider invece deve complicare il gioco, mischiare le carte, puntando su un colpo di fortuna.
Le applicazioni strategiche
Le applicazioni della teoria del Colonel Blotto sono le più disparate: da quelle ovvie in campo militare (l’esercito debole non può andare a uno scontro frontale, ma deve usare strategie di guerriglia, moltiplicare i punti di battaglia) a quelle sportive. Pensiamo al calcio: le squadre con giocatori con un tasso tecnico superiore tendono ad avere allenatori che puntano meno sulla tattica e più sulla valorizzazione dei giocatori, sulla gestione del gruppo. Giochiamo semplice, con idee chiare, non complichiamoci la vita, tanto siamo più forti: vi ricorda qualcosa Allegri alla Juve, Zidane al Real Madrid e lo stesso Ferguson al Manchester Utd? Le squadre più deboli hanno invece interesse a complicare il gioco: per questo gli esperimenti di tattica più interessanti li vediamo quasi sempre tra gli outsider. Allo stesso modo nel tennis: se vogliamo battere Nadal (e non siamo Djokovic) non possiamo puntare a un gioco regolare da fondo campo. Dobbiamo sperare di mettere a segno tanti vincenti, attaccare, variare il gioco: nella giornata giusta ci può anche andare bene.
La logica di Colonel Blotto trova un’ampia applicazione anche nelle strategie aziendali. Quando un outsider vuole entrare in un nuovo mercato e cerca di battere i leader creando una nuova versione dello stesso prodotto, e quindi adottando una strategia simile, le probabilità di successo sono molto limitate: pensiamo a Kodak quando cercò di entrare nella produzione di batterie, mercato dominato da Duracell e Energizer o ad esempio al mercato dei rasoi usa e getta dove gli svariati tentativi di replicare lo stesso prodotto di Gillette con qualche modifica sono tutti falliti.
Strategie “disruptive” vs “sustaining innovation”
Gli outsider devono quindi puntare a campi di gioco diversi, su modelli di business differenti (“disruptors”): rendere il prodotto disponibile a una fetta di popolazione che prima non poteva accedervi (quando ad esempio una tecnologia utilizzata fino a quel momento solo per applicazioni industriali/aziendali viene offerta anche al consumatore finale) oppure puntare a segmenti di mercato dove l’incumbent non ha interesse ad entrare (ad esempio i “discount” nella distribuzione retail). In questi casi l’incumbent tende a non competere su campi di gioco a lui sconosciuti e gli outsider possono rafforzare il loro esercito (il proprio posizionamento competitivo e le risorse a disposizione); in una fase successiva, con una maggiore potenza di fuoco, potranno valutare se andare a sfidare l’incumbent sul suo campo di gioco.
Viceversa, è giocoforza per gli incumbent aumentare i propri soldati negli stessi campi di gioco: puntare quindi al costante e progressivo miglioramento del prodotto vincente e del modello di servizio con cui si sono affermati, perseguendo strategie di “sustaining innovation”.
Google è un esempio perfetto di azienda in grado di implementare una strategia di innovazione continua nei business in cui è leader di mercato e al contrario un approccio disruptive nei segmenti in cui decide di entrare e sfidare i player esistenti. L’innovazione continua è quella adottata in Google search, motore di ricerca che ha mantenuto la sua leadership dal 1998 ad oggi grazie ad una media di 500 piccoli miglioramenti all’anno. Una strategia disruptive è quella che fu implementata nel segmento mobile, quando con l’acquisizione di Android, decisero di sviluppare una sistema operativo aperto (“open source”) che potesse essere compatibile con diversi produttori di cellulari e compagnie telefoniche: una scommessa che ai tempi sembrava a dir poco azzardata, ma che si è rivelata vincente.
Bibliografia:
Mauboussin, Michael J. The Success Equation: Untangling Skill and Luck in Business, Sports and Investing. Harvard Business Review Press, 2012.