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Perché le aziende leader di mercato non sono in grado di cogliere i cicli delle nuove innovazioni e molto spesso ne vengono travolti?
Il libro The Innovator’s Dilemma, scritto dal docente di Harvard Clayton Christensen, ha introdotto nel 1997 la teoria della “disruptive innovation” ed è considerato ancora oggi l’opera più influente nel campo dell’innovazione aziendale. Nello specifico, Christensen ha spiegato il perché le aziende leader di mercato sono solo raramente in grado di cogliere i cicli futuri dell’innovazione nella propria industria e molto spesso ne vengono travolti.
Contrariamente a quanto comunemente si pensa, ciò non dipende dal fatto che i manager delle aziende “incumbent” non siano in grado di cogliere i nuovi trend, sviluppare nuove idee o nuove tecnologie. Il tema è che le tecnologie e i prodotti disruptive sono generalmente più semplici, promettono margini più bassi rispetto al “core” business, muovono i primi passi in mercati di nicchia e i clienti più profittevoli per l’incumbent, non vogliono o, almeno all’inizio, non possono utilizzare i prodotti basati sulla nuova tecnologia.
Posti di fronte alla scelta di investire in una nuova tecnologia che potrebbe avere un impatto limitato sui volumi e margini più bassi rispetto al business tradizionale, i manager delle aziende incumbent generalmente si tirano indietro continuando a mantenere il focus sui segmenti core per l’azienda, seguendo una logica che appare perfettamente razionale.
Il caso di Kodak è forse quello più significativo: un suo giovane ingegnere, Steve Sasson, nel 1975 inventò le macchine digitali ma l’azienda non fu in grado di sfruttare la nuova tecnologia e continuò a puntare sul “core business” delle pellicole dove controllava il 90% del mercato americano. Il risultato fu che proprio quella tecnologia decretò la fine di Kodak, che dichiarò bancarotta nel 2012.
E non tutti sanno che BlockBuster, dopo l’avvento di Netflix, sotto la guida del CEO John Antioco, sviluppò un servizio online chiamato Total Access che consentiva ai clienti di ordinare i DVD online e di riconsegnarli negli store fisici: il nuovo sistema crebbe subito velocemente, a tassi anche superiori a quelli di Netflix. Allora cosa successe? Gli investitori non erano contenti dell’investimento necessario per sviluppare la piattaforma e i gestori dei negozi Blockbuster si opposero al nuovo modello perché avrebbe messo in discussione il proprio business. Il risultato fu che nel 2007 Antioco venne licenziato e il nuovo CEO Jim Keyes abbandonò completamente il modello online per focalizzarsi totalmente sulla distribuzione retail: 3 anni dopo Blockbuster fallì.
La tesi di Christensen è che i manager delle aziende leader si trovano ad affrontare un vero e proprio dilemma dell’innovazione: devono infatti decidere se abbia senso o meno, in un’ottica di lungo periodo, investire in nuove tecnologie che potrebbero addirittura cannibalizzare o decretare la fine del proprio “core business” attuale.
L’incapacità di risolvere questo dilemma fa si che lo sviluppo delle tecnologie disruptive sia quasi completamente effettuato da start-up, con un elevato appetito per il rischio, con strutture di costo molto contenute e disposte ad operare su piccoli mercati con marginalità basse, almeno in una fase iniziale. Questi piccoli mercati rappresentano una sorta di laboratorio Darwiniano in cui le idee più deboli sono eliminate e quelle più adatte sono selezionate per andare a sfidare la tecnologia dominante nel mercato dei grandi.
Secondo la ricerca di Christensen, gli unici casi in cui le aziende “incumbent” si sono posizionate in anticipo su una tecnologia disruptive è quando i manager hanno creato divisioni autonome, isolate dal resto dell’azienda, con lo specifico obiettivo di creare un nuovo business indipendente. Non è un caso se Google, l’azienda che incarna l’innovazione, abbia una struttura completamente piatta e i diversi progetti proseguono in maniera autonoma e in direzioni diverse (con la holding Alphabet, creata nel 2015, questo processo è stato portato agli estremi: ogni progetto è diventato un’azienda indipendente).
Amazon vs Barnes & Noble
Nel 1996 Amazon era un piccola start-up con 16 milioni di dollari di ricavi; Barnes & Noble era più grossa catena di negozi di libri degli Stati Uniti e nel 1996 fatturava circa 2 miliardi di dollari. I fratelli Riggio, che guidavano Barnes & Noble, si resero subito conto della minaccia potenziale rappresentata dal nuovo modello che Amazon aveva lanciato solo un anno prima e quindi decisero di invitare Jeff Bezos a cena. Dopo qualche convenevole, i Riggio andarono subito al punto: dissero che di lì a poco avrebbero lanciato il proprio sito online e spazzato via Amazon. Tuttavia si dichiararono ammirati da quello che aveva fatto Bezos in pochi mesi e gli offrirono una collaborazione.
Bezos sapeva che prima o poi una minaccia del genere sarebbe arrivata ma rispedì immediatamente l’offerta al mittente. Era convinto che Barnes & Noble non sarebbe stato un competitor all’altezza sul canale online in quanto i Riggio sarebbero caduti vittima del dilemma dell’innovatore. I fratelli infatti si dimostrarono riluttanti a investire molti soldi in una parte marginale del loro business e non vollero impiegare i propri manager più bravi in un progetto che avrebbe cannibalizzato le vendite dei negozi, il canale più profittevole. Inoltre Barnes & Noble aveva una logistica organizzata per servire i negozi, con spedizioni di grandi quantitativi di libri in location predefinite. Il passaggio a un sistema di gestione di piccoli pacchi per clienti singoli, cioè il campo di gioco dove Amazon eccelleva, fu lungo, costoso e pieno di errori.
Quando nel maggio del 1997, Barnes & Noble presentò al mercato il proprio servizio online, molti pensarono che per Amazon fosse finita. George Colony, il CEO di Forrester Research, una società di ricerca sulla tecnologia molto seguita in quegli anni, emise la sua sentenza con un report divenuto poi famoso denominato “Amazon.toast”. La storia poi dimostrò che l’iniziativa online di Barnes & Noble non decollò mai e Amazon rafforzò progressivamente il proprio vantaggio competitivo.
La nascita del Kindle
Nell’ottobre 2001 Apple aveva lanciato l’iPod e nell’aprile del 2003 introdusse lo store musicale iTunes, una mossa strategica che portò Apple nel giro di qualche anno a superare Amazon, Best Buy e Walmart nel mercato musicale degli Stati Uniti.
La strategia di Apple gettò nel panico i manager di Amazon. Nel 2004 le vendite di libri, musica e film rappresentavano il 74% dei ricavi dell’azienda di Seattle: se, dopo la musica, anche gli altri formati fossero passati velocemente al digitale, Amazon avrebbe dovuto reagire. La paura era che Apple potesse di lì a poco colonizzare anche il mercato dei libri.
Bezos capì quindi che per sopravvivere, Amazon avrebbe dovuto controllare il business degli “e-book” così come Apple aveva fatto con la musica, e a tal fine avrebbe dovuto sviluppare un nuovo “device” tecnologico per la lettura, il futuro Kindle. Il libro The Innovator’s Dilemma era già uscito da qualche anno ed era diventato uno dei libri preferiti di Bezos che ne aveva promosso la lettura tra i suoi manager: le ricette fornite da Christensen furono applicate in toto per delineare la nuova strategia.
Bezos chiamò Steve Kessel, il manager che si occupava in quel momento della “categoria libri”, il business più importante di Amazon, e gli disse che dal giorno successivo si sarebbe occupato del nuovo progetto digitale. Bezos gli diede un messaggio piuttosto chiaro: “Il tuo nuovo lavoro è uccidere il tuo vecchio lavoro. Voglio che tu ti comporti come se il tuo unico obiettivo fosse quello di far perdere il lavoro a tutti quelli che vendono i libri fisici.” Quando Kessel gli chiese quale era la scadenza per presentare il primo prototipo di lettore elettronico, Bezos gli rispose: “Sostanzialmente sei già in ritardo.”
Come sottolineato da Diego Piacentini, uno dei primi riporti di Bezos, “è molto meglio cannibalizzare te stesso che farti cannibalizzare da altri. Non volevamo fare la fine di Kodak.” La minaccia di Apple e di Google era ben presente tra i manager di Amazon.
Sempre in linea con le indicazioni di Christensen, Bezos mantenne il nuovo progetto completamente segreto, anche all’interno dell’azienda. Kessel si spostò con il suo team a Palo Alto in California, lontano dal corporate center di Seattle: poteva lavorare lontano dagli occhi dei colleghi che gestivano i business tradizionali e assumere più facilmente gli ingegneri che transitavano per la Silicon Valley. La nuova divisione venne denominata Lab126, dove 1 sta per a e 26 per z, a indicare il sogno di Bezos di rendere disponibili in formato digitale tutti i libri mai pubblicati, dalla a alla z. Quando nell’autunno del 2006, alla classica riunione plenaria presso il Moore Theatre di Seattle, un dipendente si alzò per chiedere “ho sentito parlare del Lab126. Ci puoi spiegare cosa sia?”, Bezos rispose in maniera perentoria “un centro di sviluppo nella California del Nord. La prossima domanda?”
La prima versione del Kindle fu lanciata nel novembre del 2007.
Amazon Marketplace
La capacità di mettere in discussione e sfidare il proprio “core business” per mantenere la leadership nel campo dell’innovazione, è sempre stata una delle qualità chiave di Jeff Bezos e Amazon Marketplace costituisce un altro esempio significativo.
Nell’autunno del 2000, sotto l’impulso di Bezos, Amazon lanciò una nuova iniziativa denominata Marketplace: il sito avrebbe ospitato i prodotti nuovi e usati di venditori terzi e avrebbe evidenziato le offerte nelle stesse pagine dove si trovavano i prodotti venduti direttamente da Amazon. La posizione di Bezos era come al solito molto chiara: “se qualcuno è in grado di vendere un prodotto a un prezzo inferiore al nostro, glielo dobbiamo consentire e poi capire come fa.” Il suo obiettivo era mettere a disposizione dei propri clienti la più ampia selezione possibile di prodotti, anche se questo avrebbe potuto creare tensioni all’esterno con i fornitori e all’interno con le varie divisioni dell’azienda.
L’iniziativa iniziò con i libri usati, e scatenò subito grandissime polemiche: le associazioni di categoria erano preoccupate che Amazon mettesse a rischio la vendita di libri nuovi a favore di quelli usati; le case editrici si lamentavano del fatto che piccoli venditori non autorizzati potessero mostrare la propria merce a fianco dei libri nuovi; infine i manager delle varie categorie prodotti venduti da Amazon erano tutt’altro che contenti di ritrovarsi dei competitor all’interno della propria piattaforma. Ma ovviamente Bezos tirò dritto per la sua strada.
Nel 2019 i ricavi di Marketplace sono stati il 20% del totale, più di un terzo di quelli ottenuti dalla vendita diretta (pari circa il 50% del totale). Il canale è molto profittevole perché Amazon riceve una fee percentuale su ogni vendita e non si assume i rischi del magazzino. Inoltre i manager di Amazon utilizzano questo canale come un osservatorio per scoprire se c’è qualche nuovo trend di vendita su prodotti che non hanno in stock, con l’obiettivo di inserirli eventualmente a catalogo e andare direttamente in concorrenza con il venditore terzo.
Bezos non ha esitato a creare un nuovo canale che poteva andare in competizione con quello tradizionale. Questo step non è stato compiuto in eBay, dove i manager sono rimasti ancorati al modello “core” delle aste e si sono mossi con troppo poca convinzione su quello a prezzo fisso verso il quale si stavano dirigendo le richieste dei clienti. Nel 2008 la capitalizzazione di mercato di Amazon superò per la prima volta quella di eBay segnando il passaggio di testimone definitivo nel campo delle transazioni online.
Come risolvere il dilemma dell’innovatore
Il successo di Amazon è in gran parte dovuto alla capacità di Bezos di risolvere il dilemma dell’innovatore: nei momenti chiave non ha mai esitato a mettere in discussione il proprio business tradizionale per evolvere verso qualcosa di nuovo. E’ chiaro che Bezos è un manager con un temperamento unico e difficilmente replicabile. Tuttavia il tema che ci pone il dilemma dell’innovatore è valido per tutti: quando c’è il rischio che il nostro business tradizionale possa essere messo in difficoltà da una nuova tecnologia o prodotto disruptive, invece di cercare di difendere a tutti i costi lo status quo, dovremmo valutare se sia possibile abbracciare noi stessi da subito la novità, anche se può andare in qualche modo a cannibalizzare quello che abbiamo fatto fino a ieri: perché se c’è qualcuno che deve uccidere il nostro business allora è meglio che quel qualcuno siamo noi.
Bibliografia:
Satell, Greg. How Blockbuster, Kodak and Xerox Really Failed (It’s Not What You Think). Inc., July 7 2018.
Stone, Brad. The Everything Store: Jeff Bezos and the Age of Amazon. Back Bay Books, 2014.
Thrasyvoulou, Xenios. Understanding the Innovator’s Dilemma. Wired, December 2014.