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Analizziamo le motivazioni dietro il successo delle teorie del complotto: da quelle psicologiche al ruolo dei social media. Perché il prossimo a crederci potresti essere tu.
La naturale tendenza a ricercare un ordine ed una coerenza nel mondo in cui viviamo, ci induce a cercare delle spiegazioni, degli andamenti predefiniti nei fenomeni che osserviamo. Se non siamo in grado di individuare una spiegazione, il nostro primo pensiero è che ci sfugge qualcosa per capire fino in fondo cosa sta succedendo e non di certo che abbiamo a che fare con eventi casuali che potrebbero non avere una motivazione specifica.
Abbiamo grande difficoltà ad accettare il concetto di casualità e fortuna: il frequente utilizzo della parola “perché” nel linguaggio quotidiano riflette la propensione umana a ricercare delle cause. Pensate a quante volte un bambino di 6 anni vi domanda “perché”: non sta facendo altro che organizzare la sua interpretazione del mondo, iniziando a costruire i primi nessi causali.
Il fatto è che molti eventi casuali si manifestano come se avessero uno schema predefinito e quindi potrebbero indurci ad individuare andamenti che in realtà non esistono: se lanciamo una moneta sei volte, può capitare che escano sei teste, cioè una sequenza che sembrerebbe a prima vista tutt’altro che casuale, ma non significa che la moneta sia truccata. La casualità è una caratteristica del processo che genera gli eventi, e non della modalità in cui gli stessi eventi si manifestano.
Il bias della decisione pianificata
Una particolare variante della propensione a ricercare un nesso di causalità è il cosiddetto bias della decisione pianificata cioè la tendenza a interpretare le azioni degli altri (persone o gruppi) come il risultato intenzionale di una precisa pianificazione. Le persone hanno difficoltà a riconoscere gli incidenti, le conseguenze non volute, le coincidenze, mentre sono molto attenti nel percepire azioni coordinate, piani o cospirazioni.
Richards J. Heuer, nel suo Psychology of Intelligence Analysis, afferma come gli analisti della CIA tendano a sovrastimare la capacità dei governi stranieri di perseguire politiche razionali e coerenti. Essendo professionisti esperti, sono ben consapevoli che spesso gli eventi sono il risultato di conseguenze non volute, ordini eseguiti male, incidenti, errori, coincidenze. Tuttavia focalizzarsi su questi fattori casuali e imprevedibili renderebbe molto più difficile costruire una narrativa coerente e significherebbe confrontarsi con un mondo in cui i risultati sono determinati più dal caso che da azioni pianificate. Per questo gli analisti, in presenza di politiche contraddittorie da parte di governi esteri, tendono quasi sempre a cercare la spiegazione in manovre machiavelliche e premeditate piuttosto che in leadership deboli, tentennamenti e tensioni tra interessi politici interni contrapposti.
“L’incompetenza è una spiegazione migliore della cospirazione in gran parte delle attività umane.” (Peter Bergen)
“Mai attribuire a malafede quel che si può adeguatamente spiegare con la stupidità.” (Robert J. Hanlon)
La fallacia dell’identità
Un altro bias molto significativo legato al concetto di causalità è quello che lo storico David Hackett Fischer ha definito fallacia dell’identità cioè la predisposizione a credere che vi sia una proporzionalità nelle dimensioni di causa ed effetto. In sostanza crediamo che grandi eventi debbano avere importanti conseguenze e che al contrario piccole cause non possono avere grandi impatti.
La fallacia dell’identità dipende dal fatto che il nostro modello mentale di default assume che le relazioni siano lineari (Y = a*X è una relazione lineare dove “a” determina la proporzione tramite cui “X” ha impatto su “Y”) mentre in un mondo sempre più complesso e interconnesso le relazioni sono molto spesso non lineari, cioè non c’è proporzionalità tra causa ed effetto: piccole cause possono avere effetti sproporzionati (basti pensare alla teoria del caos e al famoso battito d’ala) e al contrario fenomeni importanti possono avere impatti limitati.
Le teorie del complotto
La fallacia dell’identità si trova spesso associata al bias della decisione pianificata: messi insieme, questi errori cognitivi spiegano il perché molte persone sono attratte dalle teorie del complotto. Queste teorie sono generate per spiegare eventi di grande impatto per i quali non sia stato possibile individuare una causa di proporzioni simili. Per esempio, è difficile accettare che una figura debole e improbabile come Lee Harvey Oswald possa avere alterato il corso della storia con l’uccisione di John Kennedy, oppure che la diffusione del Covid sia stata causata da pipistrelli. Siamo immediatamente portati a pensare: non posso credere che un solo uomo, non particolarmente preparato, possa aver ucciso il presidente degli Stati Uniti (fallacia dell’identità); non è possibile che siano stati i pipistrelli a generare una calamità disastrosa come il Covid, ci dev’essere qualcosa sotto (fallacia dell’identità + bias della decisione pianificata).
“Spesso preferiamo una teoria del complotto a nessuna teoria.” (Christopher Hitchens)
“Molti giornalisti hanno finito per sposare teorie di complotti governativi laddove, vi assicuro, sarebbe stato più produttivo per loro attenersi alla teoria del casino.” (Bernard Ingham)
“The Social Dilemma”
The Social Dilemma, documentario prodotto da Netflix e visibile sulla stessa piattaforma a partire da settembre 2020, fornisce un’argomentazione interessante sul perché le teorie del complotto stanno diventando sempre più popolari. Alla predisposizione psicologica appena analizzata, si aggiunge un effetto di condizionamento derivante dall’utilizzo dei social media.
Gli algoritmi delle principali piattaforme social, dopo aver mappato le nostre preferenze, iniziano a suggerire contenuti sempre più personalizzati: viene creata una realtà differente per ciascuno di noi, dove compaiono solo notizie e informazioni che confermano e rafforzano la nostra visione del mondo. In sostanza questi algoritmi sfruttano una distorsione cognitiva chiamata confirmation bias, secondo la quale, una volta che abbiamo un’opinione, facciamo molta più attenzione alle notizie che la confermano rispetto a quelle che la mettono in discussione.
“Le persone credono a quello che i media gli dicono di credere.” (George Orwell)
Ad esempio se l’algoritmo nota che abbiamo cliccato su alcuni contenuti legati a teorie del complotto, inizierà a consigliare video o informazioni allineate con queste teorie. Col tempo avremo la percezione che sempre più persone la pensano come noi e la nostra convinzione tenderà a rafforzarsi. Questo meccanismo tende a creare opinioni sempre più polarizzate ed estreme.
E’ proprio a causa del “motore dei consigliati” dei social media se teorie come quelle del terrapiattismo sono diventate sempre più popolari tanto che addirittura Kyrie Irving, famoso campione NBA, che per gran parte del suo tempo ha per le mani palloni da basket rotondi, ha affermato nel 2018 che per colpa di un social media famoso era arrivato a credere che la terra fosse piatta.
Bibliografia:
Heuer, Richards J. Psychology of Intelligence Analysis. Center for the Study of Intelligence. Central Intelligence Agency, 1999.
Orlowsky, Jeff. The Social Dilemma. Netflix 2020.