Podcast: Play in new window | Download
Una serie di distorsioni cognitive legate al calcolo delle probabilità spiega la grande popolarità dei giochi d’azzardo.
Un matematico, un filosofo e uno scommettitore entrano in un bar per bere una birra. Il barista, per creare scompiglio, tira fuori un dado, lo lancia e ottiene un 1. Il matematico commenta: “la probabilità di ottenere 1 è 1/6 e al prossimo lancio sarà la stessa”. Il filosofo, toccandosi il mento osserva: “questo non significa che non possiamo ottenere 1 al prossimo lancio! Anzi, è fisicamente possibile avere sempre 1 per i prossimi mille lanci, anche se è altamente improbabile”. Lo scommettitore conclude: “beh, avete ragione entrambi, ma io non scommetterei sull’1 al prossimo lancio. Se la probabilità di ottenere 1 è pari a 1/6, ottenere lo stesso numero due volte di fila è molto raro, perché dovrebbe succedere adesso?”.
Il vantaggio del gestore (“house hedge”)
Pochi matematici giocano d’azzardo, o almeno non lo fanno con la convinzione di diventare ricchi. Il business dei giochi d’azzardo non potrebbe esistere e prosperare se chi lo gestisce, non fosse sicuro di vincere: la matematica dei giochi e le regole dei premi sono definiti in modo tale che il gestore realizzi un profitto in aggregato, indipendentemente dal comportamento dei singoli giocatori.
In termini matematici si dice che il vantaggio del gestore (VG) (house hedge) sul gioco è sempre positivo. Il valore atteso (VA) di una scommessa è pari a:
VA = (probabilità di vittoria) × (payoff se vinci) + (probabilità di perdita) × (payoff se perdi)
Ad esempio nel gioco della Roulette ci sono 37 numeri (da 0 a 36). Se scommettiamo €1 su un numero, il payoff è pari a 35 volte la puntata, e la probabilità di vittoria è pari a 1/37. Così il valore atteso di questa scommessa è pari a:
VA = (1/37) × €35 + (36/37) × (−€1)
ossia -€0,027. Il valore atteso è pari a -2,7% del valore della puntata il che significa che dobbiamo attenderci di perdere €2,7 per ogni 100 puntate da €1 sul singolo numero.
Il vantaggio del gestore (VG) è uguale al contrario del valore atteso delle giocate di tutti i giocatori e sarà quindi pari al 2,7%: questo è il margine che incasserà il casinò nel lungo periodo sulle puntate sui singoli numeri alla Roulette. Ecco perché una delle regole del gioco d’azzardo è: “se ti capita di vincere, prendi i soldi e scappa velocemente”: statisticamente, nel lungo periodo, il casinò vince sempre.
Ma allora perché un gran numero di persone continuano a scommettere?
La fallacia dello scommettitore (“gambler’s fallacy”)
Il business dei giochi d’azzardo fa leva su una serie di distorsioni cognitive che caratterizzano gran parte delle persone.
Pensiamo al ragionamento dello scommettitore all’inizio dell’articolo: è un classico esempio di un bias conosciuto come gambler’s fallacy o fallacia dello scommettitore, che si determina quando si crede che una serie di eventi casuali che sono andati in una direzione debbano essere seguiti necessariamente da una serie di eventi che andranno nella direzione opposta, per ristabilire una sorte di ordine nella casualità.
La fallacia dello scommettitore dipende dal fatto che, a differenza del matematico dell’esempio iniziale, non siamo in grado di distinguere tra eventi dipendenti e eventi indipendenti.
Se lanciamo una monetina ed otteniamo testa, la probabilità di ottenere testa al lancio successivo non è influenzata dal lancio precedente: è sempre del 50%. Così se mettiamo al mondo 3 figli maschi di seguito, non vi sono più probabilità che il quarto sia femmina. Gran parte dei giochi d’azzardo sono caratterizzati da eventi indipendenti, cioè il risultato di una giocata non ha nessun impatto e non ci fornisce alcuna informazione su quella successiva: così è per la roulette, le slot machines, i dadi, la lotteria, il gratta e vinci e così via. Nei giochi come il blackjack e il poker invece, il fatto che sia uscita una carta fornisce un’informazione su quelle che sono rimaste nel mazzo o che possono avere gli altri giocatori: è quindi possibile implementare delle strategie per migliorare le probabilità di vittoria a seconda dello svolgimento del gioco.
La fallacia dello scommettitore si basa anche sulla nostra incapacità di comprendere la legge dei grandi numeri: il concetto di probabilità, inteso come frequenza, acquista significato su un numero elevato di tentativi, aspetto che il filosofo dell’esempio iniziale, abituato a ragionare sul concetto di infinito, ha colto perfettamente. Supponiamo che ci venga chiesto di scommettere su quante volte uscirà testa su 20 lanci di una moneta: ovviamente, la scelta più razionale è quella di puntare su 10, in linea con la probabilità del 50%. Dopo 6 lanci sono uscite 6 teste e ci viene chiesto se vogliamo modificare la scommessa. Sono rimasti 14 tentativi e se seguiamo la logica, dovremmo assumere che nei lanci successivi escano 7 teste: per cui modifichiamo la scommessa da 10 a 13 (6 già uscite più le 7 che usciranno). Cioè ci aspettiamo che passando da 6 a 20 lanci, la percentuale di teste si abbassi dal 100% al 65%, cioè converga, ma solo parzialmente, verso il teorico 50%. Lo scommettitore dell’esempio iniziale invece, manterrebbe probabilmente la scommessa di partenza e si aspetterebbe che nei lanci successivi escano più croci per ristabilire l’equilibrio teorico. Il fatto è che la convergenza verso il 50% avviene solo su un campione sufficientemente ampio di tentativi.
La fallacia dello scommettitore è anche definita fallacia di Monte Carlo per un celebre episodio dell’agosto del 1913 accaduto nel casinò monegasco: dopo che il nero era uscito per 15 volte di fila, ci fu una corsa dei presenti a scommettere pesantemente sul rosso. I giocatori raddoppiarono e triplicarono le puntate credendo che dopo che il nero era arrivato ad uscire per 20 volte di fila, le probabilità che uscisse ancora fossero infinitesimali. Il risultato fu che il nero uscì per 26 volte di fila e il casinò fece uno dei maggiori incassi di sempre.
“Quando durante il viaggio di nozze entrai in un casinò e vidi tutte quelle persone vestite bene partecipare ad un gioco dove le probabilità sono contro di loro, mi resi conto per la prima volta che non avrei avuto problemi a diventare ricco.” (Warren Buffett)
L’errore della congiunzione (“conjuction fallacy”)
Un’altra tipica distorsione cognitiva è la conjuction fallacy o errore della congiunzione che si riferisce a quando si crede che la probabilità di una combinazione di eventi sia superiore alla probabilità degli eventi presi singolarmente.
L’errore della congiunzione è anche noto come il problema di Linda (“The Linda Problem”) dal nome di un famoso esperimento che gli psicologi Tversky e Kahneman, fondatori della finanza comportamentale, condussero nel 1983. I due studiosi, presentarono ai partecipanti il seguente testo:
Linda è una ragazza di 31 anni, single, schietta e molto intelligente. Si è laureata in filosofia. Come studentessa era molto interessata alle problematiche di discriminazione e di giustizia sociale e ha anche partecipato a manifestazioni contro il nucleare. Quale delle due situazioni è più probabile?
- Linda è una cassiera di banca; o
- Linda è una cassiera di banca ed è attiva in un movimento femminista.
Ebbene circa l’85% dei partecipanti scelsero l’opzione B. L’esperimento fu poi condotto svariate volte negli anni successivi, portando agli stessi risultati.
E’ ovvio che la scelta (B) non è corretta perché non rispetta le regole base della statistica: non è possibile che la probabilità dell’unione di due eventi (cassiera e movimento femminista) sia superiore a quella di uno dei due (cassiera). Tuttavia il nostro cervello predilige le coerenza rispetto alla logica: le storie più coerenti non sono necessariamente più probabili, ma sono plausibili, e le nozioni di coerenza, probabilità e plausibilità sono spesso confuse tra di loro.
Il problema di Linda è molto pericoloso perché, contrariamente alla logica, può indurci a giudicare più probabili scenari più dettagliati e precisi semplicemente perché ci sembrano più plausibili e più in linea con la nostra visione del mondo. Il biologo Stephen Jay Gould, riferendosi al problema di Linda, ha scritto: “conosco la soluzione. Ma un piccolo omuncolo nella mia testa continua a saltare su e giù e a urlarmi – non può essere solo una cassiera! Leggi bene la descrizione!”.
In sostanza se posti di fronte alla scommessa:
siamo agli ottavi di finale di Champions League e il PSG gioca contro il Malmoe:
- il PSG perde l’andata; o
- il PSG perde l’andata ma passa il turno
avremmo la tentazione di scommettere su B perché ci sembra plausibile che il PSG passi il turno perché più forte anche se lo scenario A è quello statisticamente più probabile.
L’effetto near miss
Un altro tipico bias che affligge gli scommettitori è l’effetto near miss, che accade quando la puntata è andata vicino al target: è uscito il 18 alla roulette invece che il 19, sono uscite 2 ciliegie alla slot invece che 3, abbiamo azzeccato 4 delle 5 scommesse sportive su cui avevamo puntato. In questi casi la consapevolezza di esserci arrivati vicino (near miss) induce lo scommettitore a giocare ancora. L’effetto near miss è un fenomeno psicologico molto potente che spiega la dipendenza di molti scommettitori: non è un caso che gli algoritmi delle slot o anche i risultati dei gratta e vinci sono costruiti in modo da produrre molti risultati near miss per incentivare i giocatori a provarci ancora.
In generale l’effetto near miss deriva da un errore nel calcolo delle probabilità. Supponiamo di effettuare una scommessa combinata su 5 eventi sportivi, siano essi corse di cavalli o partite di calcio, in cui le quotazioni attribuiscono una probabilità del 50% a ciascuno dei singoli risultati su cui stiamo scommettendo. Sfortunatamente ne azzecchiamo solo 4: ci sentiamo molto sfortunati, perché abbiamo correttamente individuato l’80% dei risultati (4 su 5), in fondo mancava così poco per vincere, un misero 20%! Questo ragionamento, che genera l’effetto near miss, purtroppo non è corretto: se la probabilità di ogni risultato su cui abbiamo scommesso è del 50%, la probabilità di prenderne 4 su 5 è in realtà (usando il calcolo combinatorio) del 16% mentre fare 5 su 5 aveva una probabilità del 3%. Per cui l’evento che volevamo ottenere era circa 5 volte meno probabile rispetto a quello che abbiamo ottenuto: non proprio un near miss!
Quando puntiamo ad un risultato che dipende da molti fattori casuali, non possiamo pensare di essere stati sfortunati se solo uno dei fattori non ha giocato a nostro favore: in realtà non siamo arrivati così vicini come pensavamo, almeno in termini di probabilità.
Gli studiosi hanno approfondito le ragioni dell’effetto near miss, cioè cosa spinge gli individui a riprovarci ancora quando pensano di essere arrivati vicino all’obiettivo. Il fatto è che il nostro cervello non si è evoluto per giocare a Las Vegas: l’effetto near miss ci consente di rimanere motivati quando siamo impegnati in attività che dipendono prevalentemente dall’abilità e non dalla fortuna. Quando completiamo l’esercizio di chitarra quasi come avremmo dovuto, o svolgiamo un lavoro o un’attività con un risultato vicino all’obiettivo, riceviamo come feedback una ricompensa psicologica che ci induce a riprovarci ancora, a non mollare e a continuare a migliorare. Se questo feedback psicologico positivo lo ricevessimo solo quando raggiungiamo il target, saremmo indotti ad abbandonare gran parte delle attività in preda alla frustrazione. Questo è il motivo per cui il cervello necessita di un meccanismo per registrare e ricompensare i progressi, di cui fa parte l’effetto near miss.
Purtroppo, quando questo effetto si mette in moto nei giochi d’azzardo è controproducente: riceviamo una ricompensa psicologica anche quando perdiamo di poco; e ciò ci induce a continuare a scommettere con l’unico risultato che a migliorare sono i conti del casinò.
Bibliografia:
Arp, Robert; Barbone, Steven; Bruce Michael. Bad Arguments. 100 of the Most Important Fallacies in Western Philosophy. John Wiley & Sons, 2019.
Barboianu, Catalin. Mathematics for gamblers. Aeon, 2021.
Farnam Street. Mental Models: Bias from Conjuction Fallacy. fs.blog, September 2016.