Il ragionamento bayesiano si basa sulla capacità di aggiornare in maniera oggettiva le proprie ipotesi di partenza sulla base delle nuove evidenze.
Stiamo giocando a poker con alcuni amici. Appena inizia la mano non possiamo sapere quali carte hanno gli altri giocatori, a parte escludere quelle che abbiamo noi. Tuttavia non siamo nell’ignoranza completa: sappiamo che alcune mani sono più probabili di altre. Facendo i conti, se giochiamo con tutte e 52 le carte, una mano casuale di cinque carte non conterrà niente circa il 50% delle volte, conterrà una coppia circa il 42% dei casi e colore meno dello 0,2%, per non parlare delle altre possibilità.
Queste probabilità di partenza vengono definite gradi di fiducia a priori, e rappresentano i nostri livelli di convinzione sulle diverse combinazioni di carte che possono essere distribuite all’inizio della mano, prima di apprendere nuove informazioni.
Ma poi il gioco prosegue e l’amico di fianco a noi chiede di cambiare una carta. Cosa significa? È improbabile che abbia una coppia, altrimenti verosimilmente avrebbe cambiato tre carte. Cambiare una carta è invece più coerente con il fatto che possa avere una doppia coppia oppure stia cercando di fare scala o colore. Questi comportamenti verosimili sono non a caso chiamati in statistica verosimiglianze del problema. Combinando i gradi di fiducia a priori con le verosimiglianze, arriviamo a gradi di fiducia aggiornati sulla mano iniziale dell’avversario, definiti gradi di fiducia a posteriori.
In pratica ogni volta che giochiamo a poker applichiamo il teorema di Bayes: abbiamo certe ipotesi iniziali, influenzate anche dal nostro livello di competenza nel gioco, che aggiorniamo quando arrivano nuove informazioni, in base alla verosimiglianza con cui queste informazioni sono compatibili con le ipotesi di partenza.
Aggiornare le proprie conoscenze
La potenza del ragionamento bayesiano è che la sua struttura può essere applicata a ipotesi o congetture che possiamo fare in qualsiasi situazione, anche quando, a differenza del poker, il grado di fiducia a priori o le probabilità di partenza che attribuiamo ai vari scenari, sono completamente soggettive.
Luca è un giovane che si è preso una cotta per Chiara, una sua collega appena assunta: si è deciso ad invitarla a prendere un aperitivo. Rispetto a questa situazione ci sono solo due ipotesi per Luca: Chiara accetterà sì o no? Supponiamo che Luca sia ottimista e attribuisca un grado di fiducia a priori del 60% al “sì” e del 40% al “no”. Mentre è assorto nei suoi pensieri nell’area caffè, vede avvicinarsi Chiara. Lo saluterà o gli passerà accanto ignorandolo? E’ chiaro che sia più verosimile che si fermi a salutare se è anche disposta ad andare a prendere l’aperitivo piuttosto che se non lo è: se vale l’ipotesi “sì” è molto più probabile che saluti.
Se Chiara si fermasse a parlare, Bayes suggerirebbe a Luca di rivedere al rialzo il suo grado di fiducia iniziale sul “sì” e iniziare a pensare ad un posto dove andare!
In generale nella filosofia bayesiana si assegna un grado di fiducia a priori a ogni ipotesi riguardo al mondo che ci circonda che può essere vera o meno. Ciascuna di queste ipotesi porta con sé anche un insieme di verosimiglianze, cioè di probabilità che altre cose siano vere se fosse vera l’ipotesi di partenza. Ogni volta che raccogliamo nuove evidenze, aggiorniamo i nostri gradi di fiducia moltiplicandoli per le verosimiglianze di quelle evidenza sulla base delle ipotesi di partenza. In pratica se A è la mia ipotesi di partenza, e O è l’osservazione che mi capita di fare successivamente ottengo che:
(Grado di fiducia nell’ipotesi A data l’osservazione O) è proporzionale a (Grado di fiducia a priori nell’ipotesi A) x (Verosimiglianza dell’osservazione O se è vero A)
In sostanza si parte con delle probabilità attribuite in partenza (gradi di fiducia a priori) che vengono continuamente rivalutate sulla base di quanto le evidenze che osserviamo siano verosimili con le ipotesi di partenza (verosimiglianze).
È chiaro che quando la fiducia a priori è molto grande o molto piccola, i dati devono essere molto sorprendenti per spostarla. Nel 2012 i fisici del Large Hadron Collider annunciarono la scoperta di una nuova particella, che molto probabilmente era l’agognato bosone di Higgs. Gli scienziati di tutto il mondo non ebbero problemi ad accettare la notizia, in parte perché avevano buone ragioni teoriche per aspettarsi che il bosone di Higgs venisse trovato proprio in quelle condizioni; il loro grado di fiducia a priori era relativamente alto. Al contrario nel 2011 un gruppo di fisici proclamò di aver misurato neutrini che sembravano muoversi ad una velocità superiore a quella della luce. La reazione in quel caso fu di scetticismo universale perché il grado di fiducia assegnato dalla maggior parte dei fisici a una particella che andasse più veloce della luce era bassissimo. E in effetti, dopo pochi mesi lo stesso gruppo di ricerca comunicò che la misurazione era sbagliata.
I vantaggi di pensare in modo bayesiano
Pensare in modo bayesiano ci aiuta a capire molte lezioni di grande utilità.
- Le ipotesi di partenza sono soggettive ma la valutazione dei dati deve essere oggettiva
Il pensiero bayesiano accetta la soggettività dei gradi di fiducia a priori: quando cerchiamo di interpretare la realtà che ci circonda, ognuno parte con delle ipotesi iniziali che dipendono anche dal contesto e dall’esperienza individuale. Si riconosce il fatto che le persone possano avere opinioni iniziali molto differenti riguardo ad uno stesso fenomeno e che sia difficile a priori stabilire quale sia la più corretta. Il buon senso comunque ci suggerirebbe di applicare sempre come regola il Rasoio di Occam ossia di attribuire gradi di fiducia più elevati a teorie semplici rispetto a quelle complicate: una teoria semplice è quantomeno più facilmente falsificabile, cioè è più facilmente verificabile, sulla base delle evidenze, se sia vera o falsa.
Se è ben accetta la soggettività nella definizione dei gradi di fiducia a priori, occorre invece adottare il massimo dell’oggettività quando si valuta la verosimiglianza di determinate osservazioni, cioè quando effettuiamo il processo di revisione delle nostre ipotesi di partenza sulla base delle osservazioni che raccogliamo. Come sottolineato dal fisico Sean Carroll, “ognuno ha diritto ai propri gradi di fiducia a priori, ma non alle proprie verosimiglianze”.
- Le evidenze fanno convergere verso l’unanimità
Pensiamo a quando ci troviamo a discutere con una persona che ha opinioni di partenza molto diverse dalle nostre: abbiamo in sostanza gradi di fiducia a priori molto differenti sulle ipotesi che stiamo analizzando insieme.
Per esperienza sappiamo quanto possa essere difficile trovare una convergenza da posizioni iniziali molto differenti, semplicemente discutendo o cercando di convincere a parole l’altra persona. Tuttavia Bayes ci dice che, a meno che il grado di fiducia iniziale non sia pari a 1, cioè siamo assolutamente certi della nostra opinione, la raccolta di nuove evidenze dovrebbe portare in linea teorica alla convergenza delle opinioni: se tutti siamo disposti a cambiare le nostre convinzioni di fronte a nuove informazioni, le prove alla fine vinceranno. Possiamo infatti assegnare un grado di fiducia a priori molto alto a qualche idea, ma se questa idea prevede che certi risultati si verificano solo l’1% delle volte, mentre nella pratica continuano a verificarsi, prima o poi un aggiornamento bayesiano onesto ci porterà a rivedere al ribasso il nostro grado di fiducia.
In sostanza poiché le verosimiglianze dovrebbero essere oggettive, raccogliere sempre più dati dovrebbe spingere tutti verso lo stesso insieme di convinzioni, anche partendo da posizioni iniziali molto differenti.
Sappiamo però che la realtà è molto diversa: è molto difficile cambiare idea, cioè rivedere le proprie opinioni di partenza sulla base delle evidenze o delle verosimiglianze. Questo processo di aggiustamento non è quasi mai oggettivo come vorrebbe Bayes. Molto spesso cadiamo vittime del confirmation bias, cioè teniamo conto solo delle evidenze che rafforzano le nostre ipotesi di partenza mentre trascuriamo o neghiamo le evidenze che le indeboliscono.
Allora sta qui la grande lezione del pensiero bayesiano: uno dei problemi dell’umanità non è il fatto che abbiamo idee di partenza anche molto differenti su molte tematiche ma quanto il fatto che non siamo quasi mai in grado di rivedere oggettivamente queste idee sulla base delle osservazioni. Se fossimo in grado di ragionare come bayesiani, il mondo sarebbe meno polarizzato e potremmo risolvere molto più efficacemente gran parte dei problemi.
“Quando i fatti cambiano, io cambio la mia opinione. Lei cosa fa, signore?” (John Maynard Keynes)
Bibliografia:
Carroll, Sean. Sulle origini della vita, del significato e dell’universo. Il quadro d’insieme. Giulio Einaudi, 2021.