Podcast: Play in new window | Download
Galileo è stato il primo scienziato ad adottare un metodo che univa teoria e sperimentazione, superando l’approccio aristotelico basato solo sul ragionamento.
Quando si trovava a Pisa, tra il 1589 e il 1592, il giovane Galileo condusse un esperimento che rimase nella storia: secondo il racconto dei biografi, lo scienziato salì sulla torre pendente e lasciò cadere due palle dello stesso materiale ma di peso diverso. Le due palle toccarono terra nel medesimo istante, il che era in evidente contrasto con la tesi sostenuta dagli aristotelici secondo i quali la velocità di caduta di un grave doveva essere proporzionale al suo peso.
Il significato dell’esperimento della torre di Pisa
Per molti studiosi l’esperimento della torre di Pisa ha rappresentato un punto di svolta nella storia della scienza: il passaggio da un approccio basato sul primato dell’autorità a uno che poneva al centro gli esperimenti. Stando alla teoria postulata da Aristotele, i corpi dovevano cadere a una velocità costante, determinata dal loro peso e della resistenza del mezzo in cui si muovevano; e per quasi tutti, il semplice fatto che questa tesi fosse stata sostenuta dal filosofo greco bastava a renderla vera: nella sostanza infatti, non era mai stata messa in discussione per duemila anni.
Galileo riassunse nel De motu antiquora, scritto nel 1590 e pubblicato postumo nel 1687, i risultati dei suoi primi esperimenti che lo ponevano già all’avanguardia nelle ricerche teoriche e sperimentali sul moto in generale e sui corpi in caduta libera in particolare. Il De motu segnò l’inizio della sistematica critica di Galileo nei confronti di Aristotele e costituì la base per i suoi successivi esperimenti, eseguiti sfruttando palle lasciate rotolare lungo piani inclinati.
Gli approcci adottati da Aristotele e Galileo erano molto differenti tra loro: la teoria del moto elaborata dal filosofo greco non era mai stata sottoposta a nessuna seria verifica sperimentale anche per via della convinzione, aristotelica e platonica, che il modo migliore per portare alla luce verità sulla natura consistesse nel riflettere anziché nel condurre esperimenti. Per Aristotele si poteva comprendere un fenomeno solo arrivando a conoscerne il fine.
Galileo all’opposto, non basava le proprie tesi sull’autorità, ma sull’evidenza sperimentale e sulla riflessione teorica. In un celebre passaggio del Saggiatore, lo scienziato ribadisce il suo disprezzo per l’affidarsi ciecamente all’autorità affermando che ai suoi tempi “c’era ferma credenza che nel filosofare sia necessario appoggiarsi alle opinioni di qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d’un altro, ne dovesse in tutto rimanere infeconda.” In sostanza i filosofi si limitavano a interpretare e ossequiare le teorie degli antichi, non mettendole mai in discussione.
Galileo invece era disposto ad accettare che delle convinzioni ritenute vere per secoli potessero essere sbagliate e che la scienza deve essere sempre riesaminata attraverso un paziente lavoro di sperimentazione che conduce a quelle leggi matematiche capaci di interpretare il libro della natura. Anche per questo è considerato uno dei padri fondatori di quello che oggi chiamiamo metodo scientifico.
Nel campo della meccanica dei corpi in movimento, lo sviluppo delle sue prove empiriche era anticipato e guidato da teorie e ragionamenti anziché il contrario. A tal riguardo è rimasto celebre un esperimento mentale riportato nei Discorsi: immaginiamo, disse, di legare assieme un corpo leggero ed uno pesante. Stando ad Aristotele, dato che il corpo più leggero cade più lentamente, dovrebbe rallentare quello più pesante, e il corpo combinato dovrebbe cadere più lentamente del corpo pesante preso da solo. D’altro canto, sottolineò Galileo, i due corpi congiunti potrebbero essere considerati come un singolo corpo ancora più pesante di quello di partenza; di conseguenza, sempre secondo Aristotele, dovrebbero cadere più velocemente del corpo pesante preso da solo, cosa che costituisce una palese contraddizione. Anche sul piano del ragionamento puro quindi lo scienziato toscano era in grado di rivaleggiare con il maestro greco.
Nel campo delle scoperte astronomiche, furono invece le osservazioni a dettare il passo e a spingerlo a formulare nuove teorie.
Secondo Galileo quindi il progresso scientifico può essere figlio tanto di risultati sperimentali che precedono le spiegazioni teoriche, quanto di predizioni in seguito confermate o smentite dall’esperienza o dalle osservazioni. In sostanza a differenza di Aristotele, che utilizzava solo lo strumento del ragionamento, Galileo è stato il primo ad adottare un approccio dove il ragionamento, la sperimentazione e la modellizzazione matematica erano parte integrante di un processo unico.
“La filosofia va studiata non per amore delle precise risposte alle domande che essa pone ma piuttosto per amore delle domande stesse.” (Bertrand Russell)
L’interpretazione dei dati
A partire dal 1609 Galileo iniziò a rivolgere la propria attenzione al cielo, grazie alla diffusione del cannocchiale. I risultati che ottenne in due soli mesi tra la fine del 1609 e l’inizio del 1610 furono clamorosi: con un cannocchiale di sua costruzione iniziò ad osservare la superficie della Luna che si presentava con montagne e pianure invece che completamente liscia come ritenuto fino ad allora, per poi passare alle stelle della Via Lattea e individuare infine i satelliti di Giove, una rivelazione straordinaria. Forte di questi risultati sorprendenti si affrettò a pubblicare il Sidereus nuncius, la sua prima opera dedicata all’astronomia.
Nonostante qualche scetticismo iniziale, legato soprattutto all’efficacia del cannocchiale, quasi subito le osservazioni di Galileo iniziarono a ricevere conferme autorevoli da parte di altri astronomi, come ad esempio Keplero. Restava però un’opinione di importanza critica: quella degli astronomi del Collegio romano. Il cardinale Roberto Ballarmino convocò i matematici gesuiti che confermarono le scoperte di Galileo: un’incredibile vittoria per lo scienziato toscano. Quindi tutto bene? Non proprio, come avrebbe poi dimostrato la storia.
Da lì in avanti il terreno di scontro si sarebbe spostato sull’interpretazione di quelle osservazioni. Secondo Galileo infatti le sue osservazioni supportavano in maniera inconfutabile il modello copernicano che metteva al centro dell’universo il Sole e non la terra e andavano in diretto contrasto con la cosmologia aristotelica, che secoli prima era stata adottata dalla Chiesa cattolica come propria ortodossia. Il sistema copernicano contraddiceva una visione del mondo che poneva gli esseri umani al centro della creazione in quanto fine attorno al quale ruotava l’esistenza stessa dell’universo. I ferventi sostenitori del geocentrismo non si sarebbero arresi senza combattere: Galileo, nel famoso processo del 1633 fu costretto ad abiurare le sue teorie e fu condannato agli arresti domiciliari fino alla morte.
Questi eventi ci offrono una lezione importante: le osservazioni e i dati raccolti da Galileo furono condivisi e validati da tutti. Tuttavia vennero considerati contemporaneamente compatibili con due teorie opposte: sia con il modello copernicano sostenuto da Galileo, sia con quello tolemaico-geocentrico dei suoi oppositori. I dati sono sicuramente importanti ma è ancora più importante avere il giusto approccio teorico per poterli interpretare correttamente.
L’integrazione fra teoria e dati
Nel percorso verso la conoscenza e l’interpretazione della realtà si può partire dal ragionamento puro, approccio tipico dei filosofi. Il valore di una teoria basata solo sul ragionamento filosofico tende però ad essere associato all’autorità della persona che la esprime: molte delle teorie di Aristotele perdurarono oltre due millenni proprio perché, considerata la statura del filosofo greco, nessuno aveva avuto il coraggio di metterle in discussione. Se all’interno di una riunione ci sono due persone che esprimono due opinioni differenti, entrambe non suffragate da dati o osservazioni, quasi sempre tenderà a prevalere la teoria della persona di più alto grado.
I dati consentono quindi di aumentare la democrazia nel confronto delle idee: un’idea supportata da dati acquista valore indipendentemente dall’autorità di chi la esprime. Inoltre in assenza di dati e osservazioni utili per validarle, confutarle o migliorarle, le teorie tenderanno a rimanere invariate e a non evolversi nel tempo, proprio come le credenze aristoteliche sul moto e sul cosmo. Quante volte ci è capitato di osservare manager rinchiusi nelle loro stanze, forti delle loro convinzioni immutabili ed incapaci di confrontarsi con la realtà? Ecco i dati e le osservazioni sono importanti anche per cambiare idea e per rendersi conto come Galileo, che delle convinzioni ritenute vere per molto tempo siano in realtà sbagliate.
Dall’altra parte non bisogna commettere l’errore di trasformare i dati in una sorta di divinità assoluta, rischio molto forte oggi in contesto dominato dai big data. L’esperienza di Galileo ci ricorda che i dati non hanno valore se non si ha la capacità di interpretarli, cioè di costruire una teoria che sia in grado di metterli insieme coerentemente e possa essere utilizzata per effettuare previsioni e prendere decisioni.
Possiamo quindi giustamente definire Galileo come il padre del pensiero integrativo: di fronte alla scelta tra due modelli opposti (teoria o sperimentazione), ha deciso di valorizzare gli aspetti positivi di entrambi costruendo un approccio integrato superiore ai due modelli di partenza. Non è un caso se Einstein ha definito Galileo “il padre della fisica moderna” e ha considerato il suo approccio integrato “una delle conquiste più importanti nella storia del pensiero umano.” Per citare Max Born, premio Nobel per la fisica nel 1954, “i metodi della ricerca teorica e sperimentale sono rimasti immutati nei secoli successivi a Galileo e continueranno a restare tali.”
Quando ci troviamo a formulare una teoria, dovremmo anche noi cercare di adottare un approccio integrato simile a quello di Galileo. Se partiamo dal ragionamento, per quanto logico e corretto ci possa apparire, ci dovremmo sempre chiedere: quali dati e osservazioni abbiamo a supporto della nostra idea? Potremmo rafforzare o smontare le nostre ipotesi di partenza. Al contrario se partiamo dai dati non dovremmo saltare subito alle conclusioni ma dovremmo invece cercare di riflettere: quali teorie o modelli sono compatibili con quello che stiamo osservando? E’ qualcosa che rafforza o indebolisce i modelli che abbiamo sempre utilizzato?
Bibliografia:
Livio, Mario. Galileo. Contro i nemici del pensiero scientifico. Rizzoli, 2020.