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Abbiamo una naturale tendenza a focalizzarci sui numeri e a trascurare invece i fattori più soft, che non possono essere misurati, ma che potrebbero in molte situazioni fare la differenza.
Nel 1997, dopo essere ritornato in Apple per salvarla dal fallimento, Steve Jobs decise che il primo prodotto che avrebbe decretato il rilancio dell’azienda sarebbe stato un desktop per i privati. Jobs aveva in mente un computer poco costoso che sarebbe stato perfetto per chi voleva provare l’esperienza di navigare in Internet, che stava diventando popolare proprio in quel periodo. E ne aveva bisogno velocemente perché l’azienda era in crisi di liquidità.
Ai tempi il computer meno costoso di Apple aveva un prezzo di 2.000 dollari, circa 800 dollari in più rispetto al tipico PC che utilizzava Windows. La sfida era quindi epocale: produrre un PC in tempi veloci e a un prezzo decisamente inferiore rispetto a quelli che erano stati sviluppati fino a quel momento dall’azienda di Cupertino.
La nascita dell’iMac
Il progetto fu affidato a Jonathan Ive, responsabile dell’ufficio design, vero e proprio genio dello sviluppo di tutti i principali prodotti di Apple.
Fin dal primo brainstorming, Ive e il suo team si focalizzarono sulle persone che avrebbero usato il nuovo prodotto e non sulle indicazioni degli ingegneri: “l’iMac non fu una questione di velocità dei chip o di market share” affermò Ive, “ma di domande del tipo ‘come vogliamo che si sentano le persone quando lo usano?’ e ‘quali parti della nostra mente dovrebbe occupare?’”.
Ive stava cercando di individuare la cosiddetta “design story”, il primo passo fondamentale quando si tratta di creare qualcosa di completamente nuovo. “Come designers industriali noi non progettiamo oggetti, ma le percezioni degli utilizzatori su cosa siano questi oggetti, il significato che deriva dalla loro creazione, la loro funzione e le possibilità che offrono.”
Ive pensava che l’industria del PC fosse diventata incredibilmente conservatrice dal punto di vista del design. L’ossessione era sulle caratteristiche del prodotto che potevano essere misurate quantitativamente: quanto era veloce il PC, quanto era spazioso il disco fisso e così via. “Quello era un livello molto comodo su cui competere perché puoi dire che otto è meglio di sei! Ma è anche freddo e inumano. A causa dell’ossessione dell’industria per gli assoluti, si sono ignorate quelle caratteristiche di prodotto che sono difficili da misurare, quelle emotive e intangibili.”
Il focus sull’intangibile
Cercando di immaginare una macchina che potesse generare emozioni positive, Doug Satzger, uno dei membri del team di Ive, propose una forma a uovo che fu subito accolta positivamente dagli altri designer. Nonostante le iniziali resistenze di Jobs, Ive riuscì piano piano a convincerlo suggerendogli che quella forma generava un senso di gioia e giocosità: “sembra che sia appena arrivato sulla tua scrivania o che stia per saltare giù e andare da un’altra parte.”
L’idea era inoltre quella di produrre l’iMac usando la plastica: “volevamo che apparisse conveniente e che fosse chiaro che non fosse una tecnologia che terrorizzava e alienava le persone. Ma non volevamo che apparisse scadente: c’è una linea sottile tra conveniente e scadente.”
E proprio per evitare che la plastica sembrasse “cheap” decisero di puntare sulla trasparenza: “era provocante, per questo ci piacque la traslucenza”. La trasparenza aggiunse un senso di accessibilità rendendo possibile la visione di tutte le parti interne che proprio per questo motivo furono progettate con la massima cura. Per rinforzare ulteriormente questo carattere di accessibilità i designer decisero di inserire una maniglia nella parte superiore. Per Ive, inserire la maniglia non aveva l’obiettivo di rendere l’iMac realmente trasportabile, ma serviva per creare un legame con l’utilizzatore incoraggiandolo a toccare il suo PC: “ai tempi le persone non erano a loro agio con la tecnologia. Se hai paura di qualcosa non la tocchi. Così ho pensato: se mettiamo questa maniglia, rendiamo possibile una relazione. E’ intuitivo: ti da il permesso di toccare il PC, ti da un senso della sua deferenza nei tuoi confronti.”
Il successo dell’iMac
L’iMac fu lanciato sul mercato nell’agosto del 1998 ad un prezzo di 1.299 dollari e vendette circa 800.000 pezzi entro la fine dell’anno, rendendolo il PC con i migliori risultati di vendite della storia di Apple.
Negli anni successivi, l’iMac generò una vera e propria esplosione di prodotti progettati con plastica trasparente: macchine fotografiche, asciugacapelli, aspirapolvere e ogni genere di prodotti elettronici. Ma soprattutto, da tristi oggetti da nascondere in cubicoli al lavoro, i PC si trasformarono in prodotti divertenti e di tendenza. Improvvisamente le persone diventarono orgogliose di mostrare il proprio iMac nel soggiorno o nella reception di un ufficio. L’iMac determinò un cambio di focus repentino in tema di PC: improvvisamente dettagli come la velocità della CPU diventarono secondari rispetto al design e alla facilità di utilizzo.
Ive affermò che l’iMac non era stato progettato per essere diverso ma che finì per essere profondamente differente come una naturale conseguenza del processo di design. “Penso che molte persone vedano il design come un mezzo per differenziare competitivamente i propri prodotti” affermò Ive, “ma questa è una visione che detesto, perché guarda solo al lato dell’azienda e non a quello dell’utilizzatore. Con la prima versione dell’iMac il nostro obiettivo non era sembrare differenti, ma costruire il miglior computer integrato possibile, un prodotto che le persone avrebbero amato. La differenziazione è stata una conseguenza del nostro obiettivo. Il fatto è che è molto semplice essere diversi, ma molto difficile essere migliori.”
“E’ molto semplice essere diversi, ma molto difficile essere migliori.” (Jonathan Ive)
Conclusione
La storia di Jonathan Ive e dell’iMac ci ricorda che la nostra naturale tendenza sia quella di focalizzarci sui numeri e di trascurare invece i fattori più soft, che non possono essere misurati, ma che potrebbero in molte situazioni fare la differenza.
In un discorso alla USC Business School nel 2003, Charlie Munger ha affermato: “quasi tutti tendono a dare più importanza alle cose che possono essere contate perché possono utilizzare le tecniche statistiche che hanno imparato all’università e non si occupano delle cose difficili da misurare che invece potrebbero essere più importanti. Questo è un errore che ho cercato di evitare per tutta la mia vita e non ho mai avuto rimpianti per essermi comportato così.”
“Le persone calcolano troppo e pensano troppo poco.” (Charlie Munger)
Bibliografia:
Griffin, Tren. Charlie Munger. The Complete Investor. Columbia University Press, 2017.
Kahney, Leander. Jony Ive. The Genius Behind Apple’s Greatest Products. Portfolio Penguin, 2013.