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Ciclismo e Formula 1 ci offrono alcuni spunti interessanti per migliorare la performance sull’ambiente di lavoro.
Gli sport d’elite sono caratterizzati da una costante ricerca della massima performance: quali sono i segreti per ottenerla? Analizziamo tre esempi estrapolati dal mondo dei motori e del ciclismo che hanno un’applicabilità immediata anche in un contesto di business.
Il pit stop in Formula 1
Il record per il pit stop più veloce in Formula 1 è stato realizzato dalla Red Bull nel 2019 durante il gran premio del Brasile quando riuscirono a sostituire le gomme della monoposto di Verstappen in 1,82 secondi.
Il pit stop è parte di una strategia di gara pianificata a priori. Un giro prima dello stop, e in alcuni casi particolari qualche secondo prima, il pilota viene avvertito via radio della necessità di fermarsi. Entra quindi nella corsia box inserendo il limitatore di velocità per non superare il limite di 80 km/h previsto dal regolamento. Davanti al suo garage trova un meccanico che tiene sollevato un cartello, chiamato lollipop, per indicargli dove fermarsi: è importante che il pilota si arresti nel punto giusto in modo che il gruppo di meccanici in attesa non sia costretto a spostarsi con gli strumenti. Quando la macchina si ferma, il pilota mette il motore in folle e spinge il freno per bloccare le ruote durante il cambio. I due uomini con il cric, davanti e dietro, alzano la macchina di 5 centimetri. Tre uomini sono accovacciati davanti a ogni ruota: quello con la pistola ad aria compressa, svita l’unico bullone che fissa lo pneumatico; uno estrae la gomma, un altro mette quella nuova. L’uomo con la pistola fissa il bullone e spinge un bottone per dare l’ok alla ripartenza. Dal momento in cui la macchina si è fermata sono passati circa due secondi: impressionante vero?
Il processo impiegato nei pit stop non deve essere solo veloce ma anche consistente: nel corso di un Gran Premio la macchina può fermarsi diverse volte per il cambio gomme ed in ogni situazione è fondamentale evitare errori. Uno dei fattori chiave per garantire l’efficacia dei pit stop è la suddivisione del lavoro: il processo è frazionato in numerosi micro-step, ognuno dei quali è affidato ad un membro del team. Non ci sono gerarchie, ogni membro del team è egualmente importante, incluso il pilota. Il risultato è un gruppo di persone che si muove come fosse una cosa sola: i meccanici riferiscono che un cambio ben riuscito è come se si svolgesse a rallentatore, tanta è la naturalezza del flusso da cui sono pervasi.
Lezione N1: nei team performanti ognuno comprende il suo ruolo e ogni ruolo è importante.
L’empowerment del team
Chris Boardman è stato un ciclista professionista su strada e su pista: vincitore del titolo olimpico nell’inseguimento nel 1992, è stato anche detentore del record dell’ora.
Durante la preparazione per l’Olimpiade di Beijing del 2008, Boardman lavorava nel team di ricerca e sviluppo della squadra inglese di ciclismo su pista. L’obiettivo era quello di sviluppare nuovi equipaggiamenti che avrebbero consentito di migliorare l’aerodinamica dei ciclisti. Visto che coinvolgere tutta la squadra nei test presso la galleria del vento sarebbe stato scomodo e costoso, Boardman e il suo team decisero di effettuare le simulazioni servendosi di due collaboratori regolari, gli olimpionici Jason Queally e Rob Hayles. L’obiettivo era quello di estendere successivamente l’utilizzo degli equipaggiamenti testati su Queally e Hayles anche a tutti gli altri membri della squadra.
Nel febbraio del 2008 la squadra inglese si trovava a Copenhagen per un appuntamento di coppa del mondo. Boardman aveva portato dei caschi nuovi insieme ad altro equipaggiamento che aveva testato nelle settimane precedenti. Con sua grande sorpresa e frustrazione, notò che quasi nessuno dei ciclisti decise di indossare il nuovo kit aerodinamico su cui aveva investito molte ore di ricerca. Notò infatti che gli unici ad utilizzare le novità erano stati i ciclisti che avevano partecipato alle fasi di test: avevano visto di persona il lavoro che c’era dietro, avevano appreso le basi scientifiche a supporto delle innovazioni e i miglioramenti potenziali che avrebbero conseguito: in sostanza ci credevano.
Al ritorno dalla Danimarca, Boardman decise di invitare tutta la squadra in galleria del vento in modo che ognuno avesse la possibilità di testare le innovazioni e verificare in prima persona i vantaggi. Per massimizzare l’impatto dei test, vennero installati dei mega screen in cui i ciclisti potevano vedere in tempo reale il guadagno in termini di secondi dei materiali che stavano testando. Dopo queste sessioni, ogni membro della squadra decise di utilizzare in toto o in parte le innovazioni sviluppate dal team di Boardman.
Le performance alle Olimpiadi di Beijing furono sorprendenti: la Gran Bretagna fu la nazione dominante e vinse 12 medaglie d’oro nel ciclismo su pista.
Lezione N2: una delle motivazioni più importanti al miglioramento è il sentirsi “empowered” cioè capire cosa si sta facendo, perché, e le leve a disposizione per migliorare. I ciclisti che avevano partecipato ai test fin dall’inizio, erano empowered, cioè avevano verificato in prima persona i benefici delle innovazioni e avevano fornito il proprio feedback; gli altri sono saliti a bordo solo dopo essere stati invitati in galleria del vento, cioè dopo essere stati empowered anche loro. Le idee calate dall’alto sono vissute con resistenza e frustrazione e raramente abbracciate con convinzione: le persone devono essere coinvolte, capire cosa stanno facendo e perché. Solo allora si sentiranno veramente parte del progetto.
L’energia della felicità
David Spindler è uno psicologo che lavora con gli atleti professionisti, in particolare ciclisti, per capire come il benessere psicologico possa influenzare la performance. Nel 2019 stava lavorando alla tesi di dottorato che approfondiva un argomento particolare, il concetto di “happiness watts”, che possiamo tradurre come “l’energia che deriva dalla felicità”.
All’inizio della sua ricerca, Spindler voleva capire come i ciclisti professionisti prendono decisioni quando stanno performando al di sopra del threshold power, cioè la potenza media massima che riescono a mantenere per circa un’ora. Come reagisce il cervello di un atleta che si trova in una situazione di stress fisico importante? Lavorando con i ciclisti al New South Wales Institute, si rese conto che alcuni atleti erano più bravi rispetto ad altri nel prendere decisioni quando stavano spingendo al massimo dello sforzo e questo invariabilmente impattava sul risultato in gara. Quando li intervistò per cercare una spiegazione, tutti invariabilmente fecero riferimento al concetto di “happiness watts”: l’idea che gli atleti riescono a produrre più energia e fanno scelte migliori se si trovano in una situazione di benessere psicologico…in sostanza se sono felici!
Spindler decise di testare scientificamente questa idea. Condusse una serie di esperimenti con ciclisti professionisti per simulare l’impatto di diversi “scenari emotivi”. Gli atleti vennero fatti performare al loro threshold power e contestualmente sottoposti ad alcuni esercizi cognitivi, mentre Spindler e il suo team cercavano di manipolarne le emozioni.
I risultati furono inequivocabili: maggiori erano i livelli di dopamina e serotonina (i composti chimici associati alla felicità) e minori quelli di cortisolo (la sostanza connessa allo stress), maggiore era la potenza che gli atleti erano in grado di sprigionare. Ovviamente questi composti chimici non modificano la fisiologia dell’atleta: semplicemente ritardano il momento in cui il cervello dice al corpo: “ok, siamo esausti, è ora di fermarsi”. In poche parole un atleta felice è in grado di mantenere più a lungo il suo livello di massima potenza mentre l’atleta stressato molla prima il colpo.
Grazie a questi studi recenti, i dottori e gli allenatori hanno compreso che cercare di rendere gli atleti più felici e rilassati, sia fondamentale per migliorare la performance.
Lezione N3: in molti ambienti lavorativi si crede che un certo livello di stress e tensione sia necessario per mantenere il focus e raggiungere gli obiettivi. Le ultime ricerche nel campo degli sport professionistici dimostrano però il contrario: gli atleti felici e mentalmente sgombri performano meglio. Esiste cioè un’energia addizionale che scaturisce dalla felicità.
Bibliografia:
Bigham, Dan. Start at the end. Welbeck, 2021.