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Con il metodo CBE Pat Riley riuscì a concretizzare l’enorme talento dei suoi giocatori vincendo due titoli NBA consecutivi con i Los Angeles Lakers.
Nella stagione 1985-1986 i Los Angeles Lakers erano considerati la migliore squadra del campionato NBA e forse una delle migliori di tutti i tempi. Tra le fila annoveravano i leggendari Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar, le due stelle incontrastate, oltre ad altri giocatori molto forti come James Worthy, Micheal Cooper e Byron Scott. Nonostante i favori del pronostico, quell’anno i Lakers non riuscirono neppure ad arrivare alle finali NBA e furono sconfitti nella finale di Western Conference dagli Houston Rockets.
Riflettendo su quella bruciante sconfitta, Pat Riley, l’allenatore dei Lakers, si rese conto che c’era un gap tra il talento della squadra e la reale performance che mettevano in campo: doveva trovare un sistema per colmare questo gap e per mantenere un livello alto di performance in maniera sistematica, partita dopo partita. Così durante l’estate del 1986, nel corso della preparazione per il nuovo campionato, iniziò a pensare ad una nuova strategia: il Career Best Effort.
Il Career Best Effort
“La mia sfida con il team”, commentò Riley in un’intervista, “era di mantenere i giocatori focalizzati sul presente e di fare in modo che avessero ben chiaro dove dovevano allenarsi e migliorare. Per questo durante la stagione 1986 ho introdotto una nuova metodologia che ho definito Career Best Effort (CBE). Ho testato questo concetto appena i giocatori si sono presentati al training camp di Palm Spring nell’ottobre del 1986. Alcuni stavano ancora rimuginando sulla sconfitta con gli Houston Rockets e chiedendosi come avremmo potuto riscattarci. Il metodo CBE gli ha diede immediatamente la possibilità di mantenere il focus su qualcosa di positivo.”
Tradizionalmente nel basket venivano monitorati per ogni giocatore i punti segnati, i rimbalzi e gli assist. Con il CBE i Lakers iniziarono a monitorare anche altri indicatori correlati all’impegno (“effort”) di ciascun giocatore, fattori che molto spesso facevano la differenza tra la vittoria e la sconfitta: gli sfondamenti subiti, buttarsi per recuperare una palla vagante, andare a rimbalzo, andare in aiuto al compagno quando il suo avversario lo aveva superato. Ad esempio per un’ala forte (generalmente il giocatore più alto dopo il centro), un indicatore che veniva monitorato era la propensione al rimbalzo, cioè il numero di volte in cui andava a rimbalzo quando un avversario tirava: qui ci si aspettava una propensione target del 90%, cioè che si impegnasse sistematicamente a recuperare il pallone dopo un tiro.
Per ogni giocatore veniva creato e monitorato un CBE personalizzato, un rating costituito da circa 15 indicatori. Ogni giocatore era informato sull’andamento storico del suo CBE, il confronto rispetto al valore del mese prima o con lo stesso mese della stagione precedente. Il CBE veniva confrontato anche con quello dei giocatori dello stesso ruolo delle squadre avversarie.
Pat Riley voleva che i giocatori sapessero esattamente, con dati alla mano, le aree dove stavano eccellendo e quelle in cui avrebbero dovuto impegnarsi di più per arrivare al livello dei giocatori top della NBA. E pretendeva che in ogni campionato i giocatori migliorassero il proprio CBE almeno dell’1% rispetto alla stagione precedente, facendo registrare appunto il proprio Career Best Effort, cioè il risultato migliore in termini di impegno della propria carriera.
“C’è una filosofia dietro tutti questi numeri” dice Riley, “mantenere un livello alto di impegno è la cosa più importante per ogni impresa. La strada per avere successo è capire come fare le cose nel modo giusto, e continuare a farle con lo stesso impegno ogni volta. I giocatori non possono essere forti in tutte le aree, ma possono sforzarsi a migliorarsi nelle aree che riteniamo più importanti per ciascuno. Con questo metodo possiamo mostrargli che cosa devono fare per ottenere il proprio Career Best Effort. Durante una stagione, c’è sempre una correlazione tra grande impegno e grandi risultati. Può non essere evidente in ogni singola partita, ma nel lungo periodo un impegno superiore si riflette nella colonna delle vittorie.”
“La strada per avere successo è capire come fare le cose nel modo giusto, e continuare a farle con lo stesso impegno ogni volta.” (Pat Riley)
Conclusioni
L’esempio di Pat Riley con i Lakers e il suo metodo CBE ci offrono 3 importanti spunti di riflessione a livello manageriale.
Focus sugli obiettivi interni/lead measures: Riley aveva capito che il talento non era sufficiente per ottenere le vittorie, anche se aveva in squadra giocatori come Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar. Occorreva individuare una serie di azioni su cui ogni giocatore doveva focalizzarsi per aumentare la probabilità di successo, azioni che fossero direttamente controllabili dal giocatore perché collegate al suo impegno, come quella di andare costantemente a rimbalzo, aiutare il compagno in difesa o buttarsi sulle palle vaganti. Come affermato da Riley, il CBE diede ad ogni giocatore un focus positivo; ognuno sapeva su quali azioni focalizzarsi per contribuire al risultato della squadra nella consapevolezza che “nel lungo periodo un impegno superiore si riflette nella colonna delle vittorie.”
L’importanza della misurabilità: Riley era consapevole che senza misurazione l’impegno non sarebbe stato sostenibile e non avrebbe creato engagement da parte dei giocatori, cioè la consapevolezza di poter aver un impatto importante sul risultato complessivo. Per questo ogni giocatore dopo ogni partita era informato dell’andamento del proprio CBE anche rispetto a quello dei suoi pari ruolo in altre squadre. Era sempre consapevole delle sue performance e di quali erano le aree di miglioramento, dove doveva impegnarsi di più.
Piccoli miglioramenti/grandi risultati: Riley aveva dato ad ogni giocatore l’obiettivo di migliorare il proprio CBE dell’1% in ogni stagione, un target che sembrava non particolarmente sfidante. Ma Riley era consapevole che sono i piccoli miglioramenti, sostenibili nel tempo a portare nel lungo periodo a grandi risultati. Migliorare anche solo dell’1% in una stagione, significava in ogni caso realizzare il proprio Career Best Effort, cioè il proprio record personale di “impegno”: se tutti o gran parte dei giocatori riescono a migliorare ogni anno, essere ogni anno la migliore versione di sé stessi, l’impatto complessivo in termini di risultati per la squadra è esponenziale.
8 mesi dopo l’introduzione del CBE, i Lakers hanno festeggiato la vittoria nel campionato NBA 1986-1987. E l’anno successivo hanno vinto di nuovo.
Bibliografia
Clear, James. Atomic Habits. De Agostini, 2023.
Riley, Pat. Temporary Insanity and Other Management Techniques : The Los Angeles Lakers’ Coach Tells All. Los Angeles Times, April 1987.