L’eccesso di personalizzazione ha peggiorato l’esperienza del cliente, il pilastro chiave su cui Schultz aveva costruito il modello Starbucks.
Starbucks è oggi la seconda più grande catena di ristoranti (se così li possiamo definire) dopo McDonald’s, con circa 40.000 negozi sparsi per il mondo a metà del 2024. Abbiamo già raccontato qui di come Howard Schultz abbia creato Starbucks negli anni ‘80 prendendo come modello l’atmosfera conviviale dei caffè di Milano, che aveva osservato compiaciuto durante un viaggio in Italia nel 1983. Schultz ha guidato con grande successo l’azienda dal 1986 al 2000, per poi essere richiamato nel 2008 per gestire la situazione durante la grande crisi finanziaria. Dopo essersi ritirato di nuovo nel 2017, è stato richiamato una seconda volta come CEO ad interim dal 2022 al 2023 per fare da mentore a quello che sarebbe stato il nuovo CEO, Laxman Narasimhan, un manager che arrivava da PepsiCo.
La storia di Starbucks è un classico esempio di successo di un’azienda con una cultura aziendale ben chiara che ha sempre messo al primo posto l’esperienza del cliente. L’obiettivo di partenza era creare degli spazi conviviali (“il terzo luogo”) in cui il cliente potesse trovarsi a suo agio, uno posto di decompressione e relax tra casa e lavoro.
Gli ultimi dodici mesi sotto la guida di Narasimhan sono stati però molto difficili per l’azienda: negli ultimi tre trimestri gli utili sono stati inferiori alle attese e il traffico nei negozi è in riduzione, una cosa mai successa a parte il momento di crisi del 2007-2008. Il board prendendo atto della situazione, nell’agosto del 2024 ha deciso di licenziare Narasimhan e chiamare un nuovo CEO.
Ma quali sono le ragioni della crisi attuale di Starbucks?
Quando più diventa meno
Starbucks è caduta vittima del bias dell’addizione: negli ultimi anni ha introdotto una varietà sempre maggiore di bevande, distaccandosi dal “core” del caffè, e soprattutto ha puntato sul concetto di customizzazione: i clienti possono crearsi la propria bevanda preferita potendo mixare una quantità infinita di ingredienti tanto che le possibili combinazioni ordinabili sono circa 170.000. L’impatto è stato ulteriormente esasperato da quando i clienti possono ordinare tramite app: se possiamo avere un po’ di pudore quando andiamo alla cassa ad ordinare al barista una bevanda con 15 ingredienti diversi e quindi tendiamo a contenerci, ordinando tramite app questa vergogna viene meno e quindi possiamo sbizzarrirci con le combinazioni più strane.
Invece di incrementare i ricavi e la fedeltà dei clienti, questo eccesso di personalizzazione ha avuto degli impatti negativi sul funzionamento dei negozi, sia per i dipendenti che per i clienti. I baristi sono in difficoltà perché si trovano a gestire combinazioni di bevande che non hanno mai fatto prima e probabilmente non rifaranno mai più: ciò ha reso più difficile, meno piacevole e più stressante il lavoro e il risultato è stato un aumento del turnover. I clienti hanno visto un aumento drammatico dei tempi di attesa, degli errori e una generale riduzione della qualità del servizio.
I tempi in cui andare da Starbucks per bere qualcosa e rilassarsi magari lavorando al computer sono finiti: ora lo standard sono la confusione e tempi di attesa esagerati. L’eccesso di personalizzazione è andato quindi a diluire l’esperienza del cliente, proprio il pilastro chiave su cui Schultz aveva costruito il modello Starbucks.
Schultz, infatti, è profondamente critico della piega intrapresa dall’azienda tanto che ad inizio 2024 ha pubblicato su LinkedIn una lettera intitolata “The Soul of a Brand” in cui invita il board e i manager a rimettere il focus e riscoprire i principi primi della cultura di Starbucks, dove l’esperienza del cliente deve sempre essere messa al primo posto.
Il concetto è da lui espresso in modo molto chiaro in una recente intervista: “ho scritto la lettera “The Soul of a Brand” perché mi stavo rendendo conto che c’erano cose che non funzionavano, che il brand stava perdendo il suo smalto, che i partners non erano più ispirati come prima. L’azienda sta incamminandosi verso la mediocrità e la mia lettera era intrisa di consigli basati su oltre 40 anni di esperienza nella costruzione di quest’azienda. La cosa fondamentale da capire è che non siamo un’azienda di bevande che serve caffè, siamo un’azienda di caffè al servizio delle persone. Dobbiamo essere molto più orientati e focalizzati sul caffè. E non possiamo permettere all’app mobile di essere un treno in corsa che diluirà costantemente l’integrità dell’esperienza in Starbucks. Non siamo in un business di pure transazioni. Certo dobbiamo eseguire transazioni, ma ciò deve inserirsi in un contesto di esperienza, un luogo di esperienza. Le persone desiderano ardentemente una connessione umana. Anche se sono su un’app mobile, forniamogliela. Riconosco che questo è un momento complesso, è difficile: ma questo è il nostro lavoro.”
“Non siamo un’azienda di bevande che serve caffè, siamo un’azienda di caffè al servizio delle persone.” (Howard Schultz)
Conclusione
L’esperienza di Starbucks ci offre un esempio vivo dei danni del bias dell’addizione. La nostra tendenza ad aggiungere, a moltiplicare i prodotti e le opzioni per i clienti ha quasi sempre come risultato quello di complicare troppo le cose e perdere di vista i principi primi, quelli che Schultz chiama “l’Anima del Brand”.
Bibliografia
Lamade, Ted. Take Something Away. Collaborative Fund Blog, settembre 2024.
Petro, Greg. Starbucks Has Lost Its Way (Again) And Founder Howard Schultz Knows Why. Forbes, agosto 2024.